Sono tornato più volte a riflettere sul significato profondo del corto Lavoro in Irlanda e sono giunto alla conclusione che esso evidenzi un'importante realtà della mentalità italiana.
L'articolo di per sé è molto specifico: descrive la fuga degli informatici dall'Italia verso l'Irlanda; leggendo i commenti si scopre poi che ci sono molte altre destinazioni europee e non...
Gli informatici hanno una caratteristica interessante che li distingue da altre tipologie di lavoratori: il loro campo di lavoro è in evoluzione continua, conoscenze di dieci anni prima non sono semplicemente vecchie: sono completamente obsolete. L'aggiornamento deve essere continuo: gli ambienti di sviluppo e tutti gli strumenti a essi collegati si rinnovano anno dopo anno; alcuni finiscono nell'oblio ma molti altri se ne aggiungono senza sosta.
“Vabbè” - mi direte voi - “in tutti i lavori è necessario mantenersi aggiornati!”
Certamente: ma non colla rapidità del mondo informatico.
Prendete un'autovettura degli anni '70 e confrontatela con una dei giorni nostri: ovviamente c'è stata una notevole evoluzione ma sostanzialmente sono ancora comparabili. Ma se provate a fare lo stesso confronto con dei calcolatori si hanno dei risultati incredibili: ad esempio la memoria è passata dalle poche migliaia alle decine di miliardi di bytes, ovvero circa un milione di volte più grande!
A queste trasformazioni “fisiche” corrisponde una quasi altrettanto grande evoluzione del mestiere dell'informatico.
Un altro esempio: dieci anni fa gli smart phone e i tablet non esistevano mentre adesso imperversano minacciando il mercato dei desktop tradizionali. La conseguenza è che gli informatici, per creare prodotti per questi nuovi strumenti hanno dovuto aggiornarsi, imparando nel corso di pochi anni strumenti completamente nuovi...
Comunque ciò a cui volevo arrivare è che il valore di un informatico è direttamente proporzionale alle sue conoscenze e capacità (soprattutto quella di mantenersi aggiornato!) e queste doti possono variare enormemente fra persona e persona.
Non me ne vogliano gli operai ma dubito che uno di essi alla catena di montaggio, per quanto esperto e volenteroso, possa essere produttivo il doppio di un altro: dopotutto per definizione la catena di montaggio si muove per tutti alla stessa velocità, no?
Beh, in informatica è comune incontrare persone che, grazie alla loro preparazione e capacità, possano essere dieci volte più produttive della media dei loro colleghi; per non parlare poi di coloro che hanno una preparazione eccezionale e per i quali il rapporto fra la loro produttività e quella dei colleghi “normali” è semplicemente non definibile.
Per questo motivo il mondo informatico si presterebbe a offrire retribuzioni molto variabili: dopotutto chi può fare il lavoro di dieci persone dovrebbe guadagnare molto di più, no?
Invece il contratto degli informatici è quello dei metalmeccanici, con i quali condividono poco o nulla, e prevedibilmente è estremamente uniformato al ribasso: ovvero stipendio piccino piccino per tutti...
Cioè anche alla persona che vale 10x non gli si offre uno stipendio 5x, ma neanche 3x, ma neanche 2x... se proprio va bene 1,5x. Per non parlare del paradosso delle offerte di lavoro in campo informatico: si cercano persone con grandi competenze, conoscenze approfondite in decine di strumenti diversi, e gli si offre in cambio un piatto di lenticchie...
Mi pare ovvio che la conseguenza sia che chi è preparato, magari giovane e per questo ancora senza troppi legami, vada dove le opportunità di essere valorizzati (e retribuiti) sono enormemente maggiori.
Ampliando l'orizzonte della problematica all'intero mondo del lavoro italiano ci si accorge che questo male, la scarsa valorizzazione dell'individuo, non riguarda solo gli informatici ma praticamente tutte le tipologie di lavoro. Negli informatici è solo più evidente nelle sue conseguenze (emigrazione/fuga di cervelli) perché, come spiegato, il valore dei singoli lavoratori è estremamente variabile mentre i datori di lavoro vorrebbero dare lo stesso “becchime” sia ai polli che alle aquile.
La mentalità del mondo del lavoro italiano sembra rimasta indietro di un secolo quando le industrie reclutavano i propri operai fra gli ex contadini. All'epoca l'idea di offrire un salario minimo e assumere chi lo accettava, benché cinica, poteva avere senso: difficilmente ci sarebbe stato un rendimento significativamente diverso da un individuo a un altro e quindi, se Caio non accettava il lavoro, sarebbe andato bene anche Sempronio.
Ma adesso l'economia è sempre più spostata sul terziario dove il singolo individuo può fare la differenza: per questo, volendo essere globalmente competitivi, bisognerebbe far crescere e valorizzare le proprie risorse umane.
Perché multinazionali come Google, Apple o anche Facebook trattano con i guanti le proprie risorse umane? Semplicemente sanno che per avere il meglio e motivarlo a dare il massimo bisogna pagarlo. In altre parole queste aziende non pagano bene i loro dipendenti perché hanno un sacco di soldi e se lo possono permettere, piuttosto hanno un sacco di soldi perché pagano bene i propri dipendenti!
L'Italia è ancora lontanissima da questa filosofia: da noi abbiamo solo generali e soldati semplici. I generali sono i dirigenti e i soldati semplici tutti gli altri dipendenti: l'idea di pagare un soldato semplice quanto un generale, anche se il primo da solo vale un reggimento, è inconcepibile.
Non solo: altra peculiarità tutta italiana è che i soldati semplici non avranno mai la possibilità di divenire generali: non importa quanto siano preparati. Questa è la logica conseguenza del non volere riconoscere i meriti individuali visto che, altrimenti, ci sarebbe il dovere di remunerarli adeguatamente.
Conclusione: come al solito deprimente. Volendo rimanere nella metafora, vista la crisi dell'economia, i posti da “generale” sono sempre meno e distribuiti quindi solo fra i più raccomandati, normalmente i più incapaci, col risultato di affossare sempre più, con della zavorra senza cervello, le nostre aziende. Da questa spirale di inefficienza e incapacità si salvano, forse, solo le piccole e medie aziende private che non hanno rapporti con la politica.
Intendiamoci: la mancanza di meritocrazia e adeguata valorizzazione degli individui non è l'unico problema dell'economia italiana! Ce ne sono mille altri, magari anche con un peso specifico maggiore (sono sicuro che un mio amico ingegnere punterebbe il dito contro il costo dell'energia!), però mi pare significativo sottolineare come questo specifico problema diventi proporzionalmente più importante nei lavori dove è fondamentale l'importanza della preparazione delle singole risorse umane.
domenica 17 gennaio 2016
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