Attenzione!!
Ho pubblicato la
puntata precedente retrodatandola al 2-aprile-2012 (vedi anche
parte 1,
2,
3,
4 e
5.): lo faccio presente perché questa trovata “geniale” potrebbe essere sfuggita ai lettori meno attenti...
Nelle puntate precedenti il protagonista avrebbe avuto la possibilità di uscire dall'edificio ma non lo ha fatto per salvare un'anziana donna, Caterina, che gli dice che “all'esterno” non è più possibile vivere. Mentre l'accompagna verso l'interno dell'edificio Caterina ritorna a essere una ragazza e il protagonista riconosce in lei la giovane che aveva fugacemente visto dal balcone tanto tempo prima.
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Non mi sembrava vero riuscire a udire dei suoni in quello che da tempo avevo definito il limbo grigio. Per questo, quando mi parlò, non compresi le sue parole meravigliato invece dalla nitidezza della sua voce nel silenzio assoluto.
Sempre sorridendo attese un po', mentre la guardavo sorpreso, poi mi ripeté: “Dov'è il centro dell'edificio?”.
Può sembrare una domanda assurda ma da allora, come per tutto il tempo che rimasi insieme a lei, la mia comprensione delle sue parole andò ben oltre il mero significato dei singoli vocaboli. È come se, oltre alle sue parole, io potessi udire i suoi pensieri: la capivo oltre ogni possibile fraintendimento.
Così, quando mi chiese dove era il “centro dell'edificio”, capii che si riferiva alla stanza dalla grande porta dove tutto era iniziato anche se io non l'avevo mai considerata il centro di niente...
Per onestà avrei dovuto risponderle che non sapevo come arrivarci ma ancora mi illudevo di essere io “l'esperto” della situazione. Non volevo palesarle subito che, nonostante il tempo che vi avevo trascorso, ancora non avevo idea di come muovermi in questo assurdo labirinto.
Così iniziai a guidarla a casaccio, cercando di scegliere passaggi tutti più o meno nella stessa direzione, anche se per esperienza sapevo che, concetti come quello di direzione, non avevano alcun senso in questa realtà.
Con mio disappunto, dopo appena tre o quattro stanza, Caterina mi afferrò per un braccio e mi disse: “Aspetta, non è così che funziona: non devi farti guidare da questo...” - e intanto si indicava la testa - “...ma dal cuore!”.
“Cerca di percepire dov'è che tutto è più freddo, dove l'aria è più immobile e la luce è antica...”.
Capii, pensai di capire, ciò che voleva dire ma non sapevo come farlo. Sentivo nel retro della mia testa una sensazione leggera, una sorta di solletico che sapevo essere esattamente ciò che Caterina intendeva: sapevo che dovevo farmi guidare da questa impalpabile sensazione ma non era facile perché questa era fin troppo evanescente e incostante...
Però ci provai e, per quanto i miei sforzi mi sembrassero inconcludenti, Caterina non ebbe più niente da ridire.
Non so quanto a lungo vagammo per corridoi e stanze grandi e piccole. A me parvero giorni, forse settimane, ma come ormai avevo capito, in quel luogo la sensazione del tempo era completamente irrilevante...
Ebbi modo di parlare con Caterina e di farle qualche domanda ma lei era sempre estremamente concentrata sul nostro obiettivo e accettava di fermarsi solo quando capiva che ero allo stremo. In quei momenti diventava più loquace e non mi rispondeva con dei semplici sì o no.
In realtà le informazioni rilevanti che mi diede furono molto poche, io dovetti insistere a lungo per averle e lei mi rispondeva il più sinteticamente possibile e sempre a malincuore. Invece non si faceva problemi a parlarmi della sua giovinezza, dei sogni di quando era bambina, dei suoi giochi, della passione per il disegno... Invece era molto più riservata sulla sua vita da adulta: mi disse che ebbe dei problemi di salute dopo che suo padre (il “vecchio” che avevo visto insieme a lei dal balcone) morì ma non entrò mai nei dettagli; accennò a un amore sfortunato e a degli “inganni”.
Se la sollecitavo per aver maggiori dettagli stava zitta: ci rendemmo infatti subito conto che lei non mi poteva mentire. Come comprendevo sempre immancabilmente l'essenza vera di quello che mi diceva così, se provava a dirmi una bugia, lo percepivo immediatamente. E allora preferiva ignorare la mia domanda: stava zitta o mi parlava della sua infanzia.
Quello che concretamente venni a sapere fu che la vidi per la prima volta almeno vent'anni dopo (lei era sempre evasiva con le date...) essermi smarrito nell'edificio e che la ritrovai e soccorsi circa cinquant'anni dopo. In totale erano passati circa settant'anni da quando mi ero perso nel labirinto.
Era matta? Chissà... ma come avrei potuto considerare qualcuno folle quando, per un tempo indefinito, avevo vissuto in una realtà dove l'assurdo era l'ordinario e l'ordinario non esisteva?
Col senno di poi avrei dovuto intuire che una vena di pazzia scorreva in lei ma, onestamente, allora non mi posi nemmeno il problema...
Mi spiegò dell'inquinamento: di come, nel giro di una decina di anni, la situazione era improvvisamente peggiorata. Di come l'ecosistema, una volta superata una soglia invisibile, avesse ceduto di schianto. L'aria era quasi completamente irrespirabile e non era possibile stare all'aperto senza dei respiratori con appositi filtri e riserve di ossigeno.
Le feci tante domande di politica, sulla situazione mondiale, sulla guerra economica ma lei scuoteva la testa e, al massimo, mi rispondeva che era meglio che non sapessi. E io sapevo che lo pensava veramente.
Forse qualche lettore più indiscreto potrà chiedersi se fra me e Caterina successe qualcosa: del sesso insomma...
No: mi rendevo conto, lo vedevo chiaramente, che lei era una ragazza molto bella ma, come non sentivo il bisogno di dormire, di mangiare o di altri bisogni corporali, così verso di lei non provavo alcuna pulsione sessuale. E non nacque neppure un amore, per così dire, platonico: lei, nonostante fossimo sempre insieme, riusciva a mantenere le distanze e poi, questo mondo di grigia e fredda penombra, non era particolarmente romantico...
Comunque vagammo a lungo. Molto a lungo. Col tempo mi resi conto che riuscivo a percepire più chiaramente le vaghe sensazioni del mio cuore: come se il mio istinto, perché alla fine di questo si trattava, si stesse affinando.
Non solo: anche se Caterina non suggeriva mai che direzione prendere, per mille piccoli motivi, ebbi la sensazione che iniziasse a orizzontarsi molto meglio di me. Come se riconoscesse particolari che a me sfuggivano ma che a lei apparivano chiari come le parole di un libro.
Un giorno arrivammo in una piccola stanza uguale a tante altre: davanti a noi un piccolo divano scucito, un orologio a pendolo fermo e due nuove porte, una alla nostra sinistra e l'altra a destra. Io ero molto stanco: non avrei saputo dire se era la prima o la millesima volta che passavamo per questa stanzetta.
Svogliatamente provai ad “ascoltare” l'istinto e, senza troppa convinzione, optai per la porta di destra.
Ma Caterina disse “No. Bisogna andare a sinistra...” e senza aspettare la mia risposta si incamminò in quella direzione mentre io la seguivo a stupito.
Aprì la porta e ci ritrovammo nel corridoio con le sedie antiche e gli specchi ciechi dove c'era la grande porta a due ante. Eravamo giunti alla soglia del centro dell'edificio. Al suo cuore.