Continuo nella mia lettura di Darwin.
Le mie sensazioni sono contrastanti. Da un lato il concetto della selezione naturale è ormai stato così profondamente assimilato nella nostra cultura che tutto sembra ovvio. L’acribia con cui espone le sue tesi passo passo sembra eccessiva e complessivamente mi annoia.
Mi pare che Darwin abbia avuto la fortuna di essere al posto giusto nel momento giusto con numerose prove che si stavano accumulando su più campi di ricerca e che puntavano tutte nella stessa direzione, ovvero quella della selezione naturale.
Ma magari è stato bravo Darwin a trovarle e ad allinearle correttamente: di sicuro la sua monumentale elaborazione del materiale esistente ha il merito di lasciare poco spazio a eventuali dubbi.
Alla fine però, ciò che più apprezzo, è quando mi imbatto in un concetto nuovo (o che magari non ricordavo, o che magari avevo solo intuito) e che abbia possibilità di applicazione, come spesso avviene, in altri campi.
Di uno ho già accennato in un altro pezzo: la massima competizione che un individuo deve affrontare è con gli altri membri della sua propria razza. Questo perché la nicchia ecologica è esattamente la stessa. Stavo per fare un esempio confrontando uomini e piccioni ma poi mi sono reso conto che sarebbe stato troppo ridicolo! Il fatto è che se gli uomini facessero i nidi sui tetti o se, vice versa, i piccioni occupassero abusivamente gli appartamenti in città (e fosse difficilissimo sfrattarli!) ecco che le due razze si darebbero molta più noia a vicenda: ma in realtà la vita dei piccioni ci è totalmente indifferente e, al massimo, ci disturbano le loro deiezioni e il loro grugare solo se si fermano sul nostro terrazzo.
Ma in realtà oggi volevo evidenziare un altro concetto che non conoscevo e che mi pare generalizzabile.
Secondo Darwin una specie è più individualmente variabile (e quindi più prona alla diversificazione in diverse varietà) più è numerosa ed è più numerosa quanto più è vasto l’habitat in cui vive. Un habitat più vasto inoltre aumenta la competizione che, a sua volta, spinge l’evoluzione.
Per questo motivo le specie che si evolvono sulle isole sono più vulnerabili a quelle continentali che, nel tempo si sono maggiormente evolute. Oppure, sempre secondo Darwin, i pesci di acqua dolce rispetto a quelli che vivono nei mari e negli oceani.
In particolare nelle specie australiane (e l’Australia può essere vista come una grande isola) Darwin crede di vedervi delle diversificazioni che nel continente euroasiatico sono invece già avvenute.
Personalmente arricchirei il concetto della velocità di evoluzione in relazione alla pura vastità geografica dell’habitat con quello di energia. Mentre leggevo Darwin ho infatti immediatamente pensato all’Antartide che, nonostante sia enorme, ha decisamente meno specie di altri luoghi.
Quindi io perfezionerei la relazione così: la velocità di evoluzione è legata all’estensione dell’habitat moltiplicato la quantità di energia (solare) per unità di superficie. Insomma a parità di territorio l’evoluzione ai tropici è maggiore di quella in altri luoghi.
Ma quello che veramente mi piace di queste leggi è che la loro applicabilità è decisamente generale: sono (forse!) state scoperte/intuite per la prima volta in biologia ma mi pare si possano applicare a ogni scienza naturale. Magari in economia: la concorrenza si ha fra le aziende più simili fra loro. È massima fra due pizzerie limitrofe, è già minore fra una pizzeria e un ristorante cinese ed è praticamente nulla fra una pizzeria e un giornalaio. Oppure, per la seconda legge qui esposta, la competitività (evoluzione) di aziende che operano sul mercato globale è maggiore di quelle protette da un’economia chiusa.
Ovviamente però io ho soprattutto in mente la mia teoria: la prima legge vista qui sopra si applica pari pari ai gruppi sociali e quindi ai relativi poteri. Ma anche la seconda, opportunamente rivista e corretta, credo possa avere un senso nel contesto dell’Epitome.
Per esempio la disgregazione di un parapotere assolutamente dominante ([E] 5.11) può essere interpretata come la nascita di nuove varietà (per Darwin la differenziazione iniziale che può portare a nuove specie) all’interno di una specie dovuta all’alto numero dei suoi individui.
Ma credo che, pensandoci, arriverò ad altre analogie utili...
Conclusione: per adesso “L’evoluzione della specie” di Darwin è un po’ noioso quando affronta con eccessiva dovizia di dettagli il concetto, ormai ben noto a tutti, dell’evoluzione naturale ma però regala anche dei concetti molto utili perché applicabili anche in contesti enormemente diversi.
Il post sentenza
21 minuti fa
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