Ieri ero in città e ho passeggiato in centro: mi è parso di aver fatto due riflessioni interessanti che oggi voglio qui condividere.
La prima è una vera e propria intuizione e ricordo il momento esatto in cui l’ho avuta: qualche metro davanti a me due gruppetti di giovani si sono incrociati e una ragazza e un ragazzo si sono riconosciuti e salutati.
Il ragazzo ha borbottato qualcosa che non ho sentito, la ragazza ha usato delle comuni parole di circostanza. Nel frattempo io ero già passato oltre.
In quel momento però ho riconosciuto la vera natura dei due diversi comportamenti: il ragazzo cercava approvazione (ma questa è proprio un’intuizione dovuta al suo linguaggio del corpo perché non ho idea di cosa abbia detto!) mentre la ragazza era comprensiva, come se parlasse a un bambino: non nelle parole ma nel tono e nelle emozioni complessive che suscitava.
In altre parole ho avuto la sensazione che, almeno alcuni uomini e alcune donne, replichino inconsciamente fra di loro due ruoli: quello del bambino e quello della mamma.
In effetti questa non è una teoria nuova ma è interessante come mi sia capitato di averne una percezione così netta in pochi istanti…
Mi chiedo se gli abili seduttori siano tali anche perché hanno la capacità di infrangere immediatamente, già dalle prime parole scambiate se non addirittura dagli sguardi, questo rapporto: che magari l’uomo sicuro di sé, convinto e deciso, non corrisponde più alla figura del bambino ma a quella del padre col risultato che la donna non si trova più a recitare la parte della madre ma quella della figlia.
Beh, anche questa teoria non è nuova ma vi aggiungo adesso una coda finale a cui sono arrivato mentre scrivevo queste parole.
La riflessione è che sia gli uomini che le donne preferirebbero ritornare all’infanzia, ovvero a un tipo di rapporto in cui essi sono la parte “coccolata” e compresa: è la società, con la pressione dei suoi protomiti, che possiamo intendere come i comportamenti considerati normali e accettabili che spinge le donne a esprimere maggiormente il loro lato materno.
O magari, più probabilmente questo dualismo bambino/adulto non è così rigido e definito, e in una coppia è possibile che questi ruoli si alternino nel tempo.
Vabbè, mi rendo conto di aver appena grattato la superficie di un argomento molto complesso: se mi ricapita di pensarci e di avere nuove intuizioni magari ci scriverò sopra un pezzo più completo.
Perché poi, immagino, diventa determinante il rapporto che si è avuto con i propri genitori per stabilire il ruolo che si tenderà a interpretare… Vabbè: passo all’altro argomento altrimenti non la finisco più!
L’altra intuizione non ricordo com’è nata: ricordo più o meno dov’ero mentre camminavo ma non da dove sia arrivato lo spunto!
In sintesi l’idea è stata questa: il bene non corrisponde a fare la cosa giusta ma nell’aiutare altri a farla a proprie spese (magari anche solo di tempo).
In altre parole chi fa un’azione giusta per se stesso non fa automaticamente anche del bene: è bene solo se si aiuta un’altra persona a fare la cosa giusta e se questo ci costa qualcosa.
Il nocciolo è che il bene, per essere tale, deve avere un costo per chi lo compie e, contemporaneamente, fare la cosa giusta per noi stessi è un imperativo così alto e vincolante che è come se non avesse un costo: semplicemente non si può fare altrimenti.
Ecco, si può dire che non fare la cosa giusta è male mentre farla non è bene: per essere bene ci deve essere un qualcosa di più, di altruistico e disinteressato, ovvero aiutare gli altri.
Si potrebbe obiettare che anche aiutare gli altri sia la cosa giusta da fare e che quindi non costituisca un bene farlo.
Ma non è così: aiutare gli altri anteponendoli a noi stessi sempre e comunque NON è la cosa giusta, il nostro primo dovere come esseri umani è verso noi stessi: è proprio nella libera scelta di quando dare la precedenza agli altri che consiste il bene nella mia definizione.
Conclusione: Questo all’andata. Al ritorno, mentre tornavo verso casa, ho invece sfogliato con qualche perplessità il libro sull’immigrazione che avevo ordinato (e prelevato) in libreria: i capitoli corti e i caratteri grandi mi suggeriscono infatti un po’ di superficialità. Ma magari è una sensazione errata: appena finisco qualcosa delle mie attuali letture (“Casa di bambola” di Ibsen, Plutarco (il secondo volume), “Il tramonto dell’euro” di Bagnai e “Racconti” di Cechov) lo leggerò volentieri. La prospettiva economica dovrebbe essere interessante rispetto a quella più sociale di “Exodus”...
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