[E] Per la comprensione completa di questo pezzo è utile la lettura della mia Epitome (V. 1.1.0 "Alice").
Nei giorni scorsi mi era stato “commissionato” un pezzo sui miei progressi con le reti neurali e avevo previsto di scriverlo proprio oggi: ieri però ho letto un passaggio di Al di là del bene e del male che ho trovato molto interessante…
Mi pare quindi preferibile iniziare l’anno con un pezzo che non interessi a NESSUNO piuttosto che a pochi dei miei ipotetici lettori!
In realtà il motivo per cui oggi scriverò di morale non è per indispettire i miei pochi fedelissimi (quanto citato nell’antefatto non era per evidenziare una coincidenza che trovo ironicamente divertente) ma perché il concetto in cui mi sono imbattuto e che mi ha entusiasmato è molto più elusivo dei miei progressi nelle reti neurali. Preferisco quindi mettere immediatamente nero su bianco le mie considerazioni piuttosto che rischiare di dimenticarmi qualche passaggio…
Ormai diversi anni fa (v. Deriva morale) mi posi la domanda di quando la moralità della società (e in particolare della politica) aumenta e quando diminuisce. All’epoca la soluzione più semplice per rispondere a questi quesiti non era rimuginarci sopra ma chiedere allo zio: trovando il mio quesito pertinente ci rimuginò sopra qualche secondo (molto per lui!) e poi mi rispose che dipendeva dalla ricchezza della società.
Una società povera mal tollera i furbi e i disonesti che si arricchiscono ai danni della comunità mentre, in una società in cui tutti stanno bene, ognuno è maggiormente disposto a tollerare qualche malfatta altrui perché non la percepisce come un’azione direttamente a proprio danno.
All’epoca tale risposta non mi convinse completamente ma, comunque, la lasciai in sospeso mettendo da parte, nella mia memoria, le parole dello zio. Adesso nella mia Epitome non ho toccato direttamente tale argomento ma ho sicuramente delle idee molto più chiare. Prima di dare il mio punto di vista aggiornato preferisco però passare a Nietzsche…
Nel capitoletto 262 anch’egli affronta infatti la medesima questione! Ovviamente il pensiero di Nietzsche è molto articolato ma proverò comunque a riassumerlo brevemente.
Il suo punto di partenza è costituito da due premesse (alcune approfondite in altri capitoletti): 1. Sia il singolo individuo che le nazioni sono in costante lotta per la sopravvivenza; 2. La morale non è un qualcosa di assoluto ma è lo specchio dei comportamenti visti come utili alla sopravvivenza in una data epoca.
Tutto ciò che l’individuo deve compiere per sopravvivere e, a maggior ragione, quello che una società deve fare per prosperare, finisce per essere considerato come “bene”, giusto e virtuoso.
La morale non è per Nietzsche qualcosa di assoluto e immutabile ma semplicemente una giustificazione opportunistica di ciò che è ritenuto necessario fare: e, poiché le necessità variano nel tempo, lo stesso fa la morale.
Più la lotta per la sopravvivenza è dura e serrata e maggiore è la forza della morale del tempo: per sopravvivere si deve infatti allora più che mai credere nelle “virtù” (comportamenti) che hanno, almeno fino al momento, condotto alla salvezza.
Quando però una società raggiunge un benessere tale da superare il semplice ma basilare problema della pura sopravvivenza ecco allora che il rispetto della vecchia morale, di ciò che in passato era ritenuto virtuoso, inizia a decadere. I singoli individui tralignano i vecchi principi morali con lo scopo di accaparrarsi una fetta maggiore di benessere e ricchezza: è appunto il trionfo dei furbi e dei disonesti che, guidando come avanguardie la deriva della morale della società, si fanno beffa delle vecchie regole e dei comportamenti ritenuti virtuosi per ottenere un vantaggio personale.
È quindi evidente che l’intuizione di mio zio era un’estrema semplificazione del pensiero di Nietzsche ma pienamente compatibile con esso. In un’epoca di crescita e ricchezza non ci si attiene ai vecchi valori, ognuno li infrange come meglio crede, e così la morale della collettività declina; quando invece, in un’epoca di povertà e declino, la sopravvivenza si fa più difficile per tutti ecco che una morale forte e condivisa ritorna a essere un’ancora di salvezza e la tolleranza per chi l’infrange si riduce sensibilmente.
Anch’io credo che sostanzialmente questa teoria sia corretta.
Usando la mia terminologia considero la morale come un insieme di epomiti ([E] 6.2). La lotta per la sopravvivenza di Nietzsche di individui e nazioni non è altro che una riformulazione delle mie prime due leggi del potere ([E] 5.1 e 5.2) applicate a diversi livelli di dettaglio ([E] 4.3).
Quando la società prospera la legge della conservazione ([E] 5.1) fa sì che gli epomiti restino ben stabili: nessun gruppo sociale vuole infatti rischiare di star peggio e, contemporaneamente, la crescita di forza ([E] 5.2) è comunque garantita per tutti.
Un peggioramento significativo delle condizioni di vita, del benessere generale, può però sicuramente mettere in discussione gli epomiti (ovvero la morale ma non solo) del tempo: le prime due leggi del potere si attivano infatti (a ogni livello di dettaglio) per contrastare la tendenza all’indebolimento.
In [E] 12 affermo infatti che proprio il peggioramento delle condizioni economico e sociali è all’origine dell’attuale successo dei cosiddetti populismi ([E] 12.3).
Insomma la visione complessiva della realtà data dalla mia Epitome è tale che fenomeni pur difficilmente palpabili come l’evoluzione della morale in una società possono venire facilmente compresi e analizzati. Non solo: le relazioni fra i diversi poteri in gioco e le loro rispettive motivazioni sono enormemente più chiari e universali (*1).
Conclusione: insomma, ciò che prima mi risultava essere un piccolo mistero, grazie al lavoro teorico svolto in questi anni, non è più tale: la morale è divenuta infatti solo un elemento ben determinato del meccanismo con cui l’uomo vive la realtà e il cui funzionamento ho delineato e analizzato nell’Epitome.
Nota (*1): ad esempio in altri capitoletti Nietzsche si perde in definizioni che mi appaiono estremamente limitate e difficilmente riapplicabili a situazioni nuove o diverse. Egli parla di “aristocrazia” dove io scrivo “parapoteri” e di “schiavi” al posto di “democratastenia”: altri concetti (vedi sopra) hanno equivalenti nella mia terminologia e i suoi ragionamenti sono spesso (ma non sempre!) compatibili con la mia teoria.
Ma se un lettore meno smaliziato di me si mette a leggere oggi le sue parole come fa a riconoscere nell'aristocrazia (ovvero nei miei parapoteri) le grandi multinazionali? O negli “schiavi” i comuni cittadini? E, anche se vi riuscisse, come può poi riuscire a capire e riconoscere le tendenze specifiche da quelle inevitabili, o il particolare dal generale, visto che le teorie di Nietzsche non sono inquadrate sistematicamente come ho fatto io con le mie? Io vi vedo infatti tante piccole verità isolate e non riunite e collegate insieme nelle loro vicendevoli relazioni.
O magari sono solo io che non conosco abbastanza il pensiero di Nietzsche e, schiacciandolo sulla mia prospettiva, finisco per perdere o non distinguere il suo punto di vista che, forse, sarebbe ancor più coerente del mio...
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