L’altro pezzo (v. premessa di Comunicazione-Burioni) che avevo in mente prende lo spunto dal seguente aforisma:
«Il successo di tanti libri si fonda sull'accordo fra la mediocrità delle idee dell'autore e la mediocrità delle idee del pubblico.» (Nicolas de Chamfort)
Ci ho riflettuto a lungo e trovo che si tratti di un’intuizione profonda sulla società umana. Al posto di “tanti libri” possiamo sostituire “opere” o anche “idee” e la frase rimane comunque vera.
È infatti evidente che per apprezzare pienamente qualcosa si devono avere le capacità o le conoscenze per poterlo fare. E lo stesso vale per il gusto, che è personale e arbitrario, anche ciò che piace senza (almeno apparentemente!) bisogno di studio o conoscenza non sfugge a questa regola. Anche la musica, una canzone oppure una pellicola cinematografica dipendono dal nostro contesto culturale e dalle nostre esperienze.
Curiosamente quando inizio a riflettere su questo aforisma è come se entrassi in un labirinto uscendone sempre in luoghi diversi, ovvero arrivando a conclusioni o idee sempre nuove.
Un “percorso” che mi piace seguire è quello della bellezza: è infatti considerata bella l’opera mediocre che soddisfa e appaga il gusto mediocre del pubblico. Questo ci dice l’aforisma.
Ma allora, mi chiedo, sarebbe in assoluto più bello ciò che piace al maggior numero di persone oppure ciò che piace solo al ristretto numero degli “esperti”?
Se il bello è ciò che piace allora vince la massa: se però, come credo, il bello è un valore assoluto che non ha niente a che vedere con quanto viene percepito allora vale il contrario.
Ma non è tutto così semplice: ammettendo che il bello sia un valore assoluto e che questo non sia mai esattamente percepito da chi lo giudichi dall’esterno allora quale diviene la definizione di bello?
Perché il “mi piace” si baserà su criteri soggettivi ma se il bello è invece assoluto dovrebbe essere possibile valutarlo assolutamente.
Alla fine si ritorna al punto di partenza: se non esistono criteri oggettivi per valutare il bello allora esso non è forse quel valore assoluto che avevamo ipotizzato…
Eppure possiamo davvero anche solo pensare che, ad esempio, una sinfonia di Beethoven sia meno bella di una canzone di San Remo solamente perché in Italia “piace” a più persone la seconda?
Forse dovremmo introdurre un nuovo concetto da affiancare a quello di bellezza: il valore.
Della bellezza possiamo a questo punto dimenticarcene: essa è variabile e dipende dal gusto personale. Il valore invece potrebbe essere quel quid assoluto che, a volte, si confonde con la bellezza.
Ecco la bellezza potrebbe essere pensata come l’ombra del valore: in base all’illuminazione apparirà più o meno grande a chi la guarda ma si tratterà di un’impressione effimera, che dice poco o niente sul valore di un’opera (o di una persona!).
Vero è che anche per il valore non sembra possibile trovare dei criteri universali per misurarlo: ma in effetti l’assenza di questi criteri univoci non equivale a dire che il valore non sia assoluto.
Intuizione! Forse ne possiamo fare una buona stima considerando anche il fattore tempo.
Possiamo forse definire l’importanza come la media di quanto piaccia qualcosa nel trascorrere degli anni (magari con qualche correzione matematica per ridurre la distorsione del gusto del presente). Non si deve confrontare quindi Beethoven con la canzoncina di San Remo limitandoci a cosa le persone preferiscano oggi, e ovviamente senza limitarci ai gusti degli abitanti della penisola, ma si dovrebbe mediare quanto una cosa piaccia nel corso degli anni.
Ecco quindi che siamo giunti a un’altra “ovvietà”: è il tempo che ci dice quanto un’opera sia grande, quanto valga cioè. Certo resta sempre un’approssimazione ma è come fare la media della lunghezza delle ombre di un oggetto durante l’arco di una giornata, col Sole che le allunga e le accorcia col suo spostarsi nel cielo: se abbiamo abbastanza osservazioni possiamo ricavare una stima della dimensione reale dell’oggetto illuminato.
E se un’opera semplicemente non viene conosciuta? Magari se non è compresa nel suo tempo questo le potrebbe togliere visibilità anche nelle epoche future…
Mi chiedo: esistono autori/artisti non apprezzati per niente nel loro tempo ma “riscoperti” postumi a decenni o più di distanza?
Probabilmente sì... ma in questo caso non si potrebbe obiettare che “semplicemente” la mediocrità di un’opera del passato ha incontrato la “mediocrità” dei gusti della massa del futuro? Ebbene la risposta è “no”: l’opera nel passato (secondo la nostra premessa basata sull’aforisma) non era mediocre nel passato ma, anzi, fuori dalla norma e per questo non apprezzata. Rimane il fatto che il successo comporta l’apprezzamento da parte della massa sempre di gusti mediocri: però il fatto che un’opera del passato riesca ad avere successo nel futuro ci suggerisci che il suo valore abbia comunque una certa grandezza assoluta…
Conclusione: divagazioni… spero di non aver annoiato troppo i miei lettori...valga cioè. Certo resta sempre un’approssimazione ma è come fare la media della lunghezza delle ombre di un oggetto durante l’arco di una giornata, col Sole che le allunga e le accorcia col suo spostarsi nel cielo: se abbiamo abbastanza osservazioni possiamo ricavare una stima della dimensione reale dell’oggetto illuminato.
Conclusione: divagazioni… spero di non aver annoiato troppo i miei lettori...
L'esempio di Benjamin Franklin
7 ore fa
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