Avrei accumulato un paio di corti e un pezzo normale su Aristotele/Etica nicomachea e quindi ne approfitto per scrivere tutto insieme...
Mi ha lasciato perplesso che Aristotele abbia considerato come virtù separate la liberalità e la magnificenza: l'unica differenza fra le due è di quantità non di qualità tanto che lo stesso Aristotele specifica che il “magnifico” deve anche essere necessariamente liberale. Forse ho letto superficialmente ma mi pare che quanto detto per il liberale si riapplichi pari pari per il magnifico: la distinzione fra le due virtù mi pare arbitraria e superflua.
Un'ipotesi per spiegare questa stranezza è che la lista delle virtù che Aristotele sta analizzando non sia sua ma di Platone o di altri filosofi...
Un'altra possibilità più contorta è che Aristotele non consideri tutti gli uomini uguali con la conseguenza che anche la morale non è uguale per tutti: agli uomini di nascita insigne si richiede un comportamento diverso da quello comune. Ma, come detto, in questo caso non sarebbe veramente una morale diversa quanto una diversa dimensione delle azioni compiute grazie alla maggiori risorse disponibili. Giudizio sospeso in attesa di nuovi elementi.
Ah! una mia glossa che illustra i dubbi per l'avventurarsi nelle dimensioni di Aristotele oltre a quanto io sia scemo anche in privato: “Per una parete grande occorre un grande pennello”.
Per capirci ho aggiunto una foto (ho scurito e aumentato il contrasto delle mie note perché altrimenti erano quasi illeggibili. Non sono Post-it gialli!) della pagina in questione...
Molto ricco di spunti è il capitolo 7 del IV libro sulla magnanimità.
Il punto di partenza è, per “opinione corrente” (v. parte finale di Ipse erravit), che magnanimo sia colui che si reputi degno di grandi cosi cose e che lo sia effettivamente. E se l'“opinione corrente” fosse stata diversa? Il parere di Aristotele sulla magnanimità sarebbe cambiato? Forse no, forse è solo un espediente stilistico per introdurre l'argomento ma comunque non mi piace perché, potenzialmente, questo modo di procedere (prendere per vera un'opinione solo perché comunemente accettata da tutti) potrebbe introdurre errori nella serie di argomentazioni...
«...ma anche la bellezza risiede in un corpo grande: coloro che sono piccoli possono essere eleganti e proporzionati, ma non possono essere belli.» (*1)
Sigh... io non sono neppure proporzionato e, men che meno, elegante... Comunque meglio di Tom Cruise... (v. il corto KGB – Cruise 2:0)
Molto interessante è che chi si reputa meno degno di quanto non sia non è una persona modesta ma un pusillanime! Da cui si intuisce che l'attuale virtù della modestia non ci viene dagli antichi greci ma dal cristianesimo...
Non solo: ma la pusillanimità è considerata da Aristotele più grave del suo opposto, la vanità, ovvero considerarsi degno, ma senza esserlo, di grandi cose.
Qui fatico a comprendere Aristotele: non mi è chiaro cosa intende con “grandi cose” che, a volte, sembra sinonimo di “grandi onori”, altre, di “grandi azioni/imprese”.
L'unica mia spiegazione è che il pusillanime, per timore di non esserne capace, non agisca quando invece potrebbe. Al contrario il vanitoso, sopravvalutando le proprie forze/capacità, si lancia in imprese che poi non è capace di terminare degnamente ma che, comunque, non danneggiano la società. L'abulia del pusillanime in questo senso può essere considerata più dannosa perché priva la città delle opere del potenziale magnanimo.
Però se il pusillanime non restasse inoperoso, si adoperasse invece compiendo grande opere ma comunque si ritenesse indegno di grandi onori? Resterebbe comunque un pusillanime? Bo...
In seguito Aristotele spiega che al magnanimo, che per definizione deve avere tutte le virtù, sta a cuore (e così deve essere!) l'onore. Da cui si ricava che gli antichi greci sapevano ricompensare le opere degno con gli onori opportuni: apparentemente doveva trattarsi di una società molto più meritocratica della nostra...
Ponendo l'onore come il bene più grande si sprona chi è più capace a fare del proprio meglio per la società che, appunto, lo ricompensa tributandogli degni onori. Insomma una società che esalta l'individualismo: mi pare un meccanismo sociale delicato ma se funziona indubbiamente porta grandi vantaggi alla società (che, ricordiamolo, per i greci antichi è essenzialmente la polis).
Il difetto principale che vi vedo è che tale sistema di valori sociali può funzionare solo per una comunità relativamente piccola: deve esserci la ragionevole possibilità che ognuno conosca l'altro per poter attribuire i dovuti onori a chi realmente li merita. Se la popolazione cresce (diciamo più città) accadrà che le onorificenze andranno a chi non le merita realmente con la conseguenza di demotivare tutti gli altri potenziali magnanimi.
Anche Aristotele infatti, all'inizio del capitolo successivo (IV, 8) evidenzia un potenziale problema parallelo a quello da me esposto (*2): «Agli occhi della massa anche i doni della fortuna contribuiscono alla magnanimità.» (*1) In altre parole il popolo considera magnanimo anche chi ha solo la fortuna di nascere ricco attribuendogli così degli onori che non è detto che meriti. Pensiamo all'Italia, il perfetto opposto di una società meritocratica, e osserviamo come vengano adulati e onorati dai media giovanotti perfettamente normali ma che hanno la fortuna di avere un certo cognome (e molti soldi)...
Nel resto del capitolo (IV, 8) Aristotele elenca tutta una serie di caratteristiche/comportamenti che il magnanimo dovrebbe avere: la cosa buffa è che in molti di questi aspetti mi riconosco! Vediamo qualche esempio...
- il magnanimo non ha problemi a fare il bene ma se lo riceve se ne vergogna e per questo cerca di contraccambiare per eccesso i benefici che riceve e far così sentire in obbligo che lo ha aiutato. Aristotele spiega che fare il bene è proprio di chi e superiore mentre il riceverlo è dell'inferiore. Personalmente odio ricevere e chiedere favori e, nel caso, cerco di contraccambiare per eccesso: però non ho mai riflettuto sul perché... forse per una sorta di vanità in effetti un po' affine alla spiegazione dello Stagirita (che non mi piace)... ci penserò... Di sicuro io però quando contraccambio lo faccio per far “pari” non per far sentire qualcuno in obbligo verso di me!
- il magnanimo (per i motivi del punto precedente) ricorda perfettamente i benefici fatti ma non quelli ricevuti. Personalmente ho un'ottima memoria e quindi, nel bene e nel male, tendo a non scordare niente però forse è vero, anch'io ricordo con maggior precisione i favori che ho fatto...
- il magnanimo (per i motivi del primo punto) non vuole l'aiuto di nessuno ma aiuta con slancio. Idem: soprattutto odio chiedere favori perché poi mi sento in obbligo e io prendo i miei obblighi verso gli altri molto seriamente. Se qualcuno mi chiede un favore mi fa piacere aiutare: sono però forse un po' troppo prudente a offrire il mio aiuto; portato a pensare che tutti, come me, non amino essere aiutati, sono molto prudente e rispettoso nell'offrire la mia collaborazione...
- «[il magnanimo] è altezzoso verso coloro che rivestono delle dignità e che godono i favori della sorte, ma misurato verso le persone di media condizione. Ché esser superiori ai primi è cosa difficile e gloriosa, ai secondi è cosa facile, e gloriarsi su quelli non è ignobile, ma tra i tapini è grossolano, come mostrarsi forte con i deboli.» (*1). Questo sono io!! Nel lavoro, ma anche a scuola (v. l'aneddoto col preside Furbi e bischeri), sono stato particolarmente altezzoso con i miei capi (e ancor di più con i capi dei miei capi!): il mio principio era che se queste persone erano i miei capi allora dovevano essere molto più “degne” di me e quindi tendevo a essere scarsamente tollerante, ad esempio, per osservazioni che ritenevo sciocche (*3). Ovviamente avevo un po' troppa fiducia (*4) nella giustizia della vita! Avrei anche un bell'aneddoto sulla mia “misura” ma non ho voglia di divagare...
- «Ed è per lui una necessità essere manifesto nei suoi odi e manifesto nelle sue amicizie (giacché il nascondersi è proprio di chi ha paura, come il non aver cura della verità più che dell'opinione) e parlare ed agire alla luce del sole (infatti è persona che non ha peli sulla lingua per il fatto di essere incline a disprezzare ed a dire la verità, a meno che non dissimuli ironicamente la sua superiorità, e di questa ironia fa uso verso la massa)» (*1). Io mi considero molto franco: sugli odi non saprei... Propriamente non odio nessuno ed è anche difficile che una persona non mi piaccia per niente: tendo a essere molto comprensivo e tollerante verso i difetti altrui e, in genere, cerco di vedere i pregi nelle persone...
Infine, sfortunatamente, di ironia non ne ho.
- «E non è capace di vivere secondo la legge di un altro...» (*1). In effetti ho scarso rispetto per le leggi che ritengo ingiuste...
- Il magnanimo non serba rancore e anzi è propenso a dimenticare i torti subiti. In questo caso non sono sicuro: dipende da tanti fattori... se la controparte si è ravveduta, dall'entità del torto, dall'effettiva volontarietà di danneggiare etc. A volte potrei ritenere che una punizione sia moralmente più giusta, magari più educativa, del perdono.
- Il magnanimo non parla di se stesso né degli altri uomini perché non gli interessa essere lodato né che gli altri siano disprezzati. Anche in questo caso non sono troppo sicuro: dipende un po' da cosa intenda con precisione Aristotele. Se intende, come credo, il vantarsi di se stesso e di sparlare degli altri (intesi come amici e conoscenti, non personaggi pubblici) allora potrei comportarmi da bravo magnanimo, altrimenti no.
- Il magnanimo non è incline a lodare né a sparlare. Sono magnanimo al 50%: non sparlo ma, per scelta filosofica, cerco di lodare e incoraggiare gli altri quando possibile: ci son fin troppe persone pronte e felici di scoraggiare il prossimo. Invece incoraggiare non mi costa niente e una giusta lode può essere un ottimo stimolo per chi la riceve. In verità credo che dietro la scarsa propensione a lodare ci possa essere una vena di invidia per le capacità altrui: in altre parole il lodare l'altro equivale ad ammettere la propria inferiorità. Ovviamente noi “magnanimi” siamo così pieni di virtù (e di noi stessi!) che non abbiamo motivo di invidiare gli altri e, per questo, non abbiamo neppure remore a lodare chi se lo merita.
- «... proprio del magnanimo è muoversi lento ed una voce grave...» (*1).
E qui Aristotele mi frega: io mi muovo in maniera circospetta, con movimenti economici ma goffi; soprattutto ho una vocina stridula e fastidiosa, molto irritante. Comunque Aristotele si è dimenticato di scrivere che il magnanimo deve anche essere alto!
In definitiva, nonostante le molte somiglianze superficiali col magnanimo (vedi sopra), ho degli aspetti del vanitoso (visto che ho un'alta stima di me stesso ma non ho realizzato nessuna opera degna di lode) e altri del pusillanime (soprattutto nel mio non fare, e nel ritenere vani i miei sforzi): probabilmente sono quindi una via di mezzo fra i due (*5)...
Una riflessione che ho fatto leggendo questi due ultimi capitoli: mi aspettavo che un testo di etica affrontasse argomenti diversi (come ordinare doveri diversi e magari contrastanti, conflitti fra due persone o fra una e molte oppure la società, doveri e capacità) invece in questo libro ho trovato un elenco di virtù con i relativi eccessi e difetti. Mi sembra che ci si concentri nei dettagli perdendo di vista i problemi più complessi. Bo, magari nel prosieguo cambia...
Conclusione: mi è venuto un pezzo molto più lungo del solito... Beh, dopotutto è normale visto che ho messo insieme più idee invece di trattarle separatamente...
Nota (*1): da Etica nicomachea di Aristotele, Ed. Rizzoli, 1986, introduzione/commento/traduzione di Marcello Zanatta.
Nota (*2): in pratica l'attribuzione di onori a chi non li merita...
Nota (*3): una volta il capo del mio capo mi aveva richiesto un report con determinate caratteristiche: quando glielo portai a far vedere iniziò a dirmi (in inglese, lui era un francese) “questa linea è troppo sottile... questa è troppo spessa...”. Al che io iniziai a ridere. Lui si irritò e me ne chiese il motivo: io semplicemente gli risposi che mi aspettavo che controllasse che ci fossero tutti i dati richiesti e che la forma l'avremmo potuta mettere a punto successivamente. Lui mi rispose qualcosa tipo “anche la forma è importante”...
Nota (*4): beh, in realtà era il contrario: se fossi stato sinceramente persuaso che i miei capi fossero state persone migliori di me allora avrei rispettosamente chiesto spiegazioni per eventuali osservazioni che non capivo invece di riderne ritenendole sciocche...
Nota (*5): battuta per aristotelici...
L'esempio di Benjamin Franklin
8 ore fa
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