Fra ieri e oggi mi sono riletto un bellissimo libro di fantascienza: Il gioco di Ender di Orson Scott Card, Ed. Nord, 1987, trad. Giampaolo Cossato e Sandro Sandrelli.
L'edizione originale era del 1986 e vinse sia il premio Hugo che Nebula!
Se ben ricordo questo romanzo fu basato su un racconto breve dello stesso autore, anch'esso vincitore di qualche premio. Io anzi lessi il racconto in una qualche raccolta e, siccome mi era piaciuto, non esitai a comprare anche il romanzo.
Stranamente però non l'avevo più riletto: in genere i libri che mi piacciono li rileggo anche molte volte (*1) mentre, per qualche ragione, non l'avevo ancora mai fatto con questo...
Mi ha fatto uno strano effetto: la storia è bellissima (e non entro nel merito per non sciuparla) e anche molti dei personaggi sono ben disegnati eppure...
Eppure mi ha lasciato una certa malinconia: sto riflettendoci, cercando di autoanalizzarmi per capirne l'origine...
Ipotesi (su due piedi): il protagonista del libro, Ender, è un bambino prodigio e probabilmente mi identificavo in lui più di quanto mi rendessi conto. Come ho spiegato altrove (v. Carriera scolastica (1/3)) alle elementari ero notevolmente sopra la media sotto molti aspetti ma anch'io, come il protagonista, avevo un lato “oscuro” (*2). Ecco: forse invidio il protagonista per aver avuto l'opportunità di essere messo alla prova e sfruttare le proprie capacità. Sì, forse è questo: Ender è stato messo alla prova e ha avuto successo mentre io non lo sono stato e ho fallito... Probabilmente è per questo che non avevo mai avuto voglia di rileggerlo.
Lo so... il paragrafo precedente è talmente vago da essere incomprensibile: per spiegarmi meglio dovrei rivelare degli aspetti nascosti del mio carattere ma non sono ancora pronto a farlo.
In realtà qualche accenno qui e là (*3) l'ho dato ma probabilmente nessuno mi conosce abbastanza bene per averli colti...
Comunque, a parte questo aspetto psicologico, vi ho notato intuizioni sul futuro molto indovinate: due coprotagonisti, due ragazzini fratello e sorella, cercano di influenzare l'opinione pubblica mondiale scrivendo articoli e firmandosi con due pseudonimi (Demostene e Locke). Esiste infatti una specie di Internet, una rete di giornali, alla quale ci si collega con dei tablet personali muniti di schermo tattile (touchscreen). I ragazzini si creano delle identità virtuali (non vogliono rivelare chi sono perché, giustamente, temono che essendo così giovani non sarebbero presi sul serio) ma soprattutto, ed è questa l'idea sorprendentemente anticipatrice, delle identità secondarie con le quali indirizzano (facendo le domande giuste, oppure approvando e confermando...) le discussioni provocate dagli articoli delle identità principali!
È solo in questi anni che in Italia (e forse un po' prima in altri paesi) esistono gli “influenzatori” che sistematicamente, come lavoro, utilizzando diversi profili o identità, commentano articoli cercando, appunto, di indirizzare i commenti in una certa direzione. Io ne ho conosciuto uno (pentito) che per qualche tempo ha lavorato per un famoso “Blog”...
Altra caratteristica interessante del libro è che i calcolatori non sono sottovalutati: a distanza di 30 anni sono ancora decisamente credibili nelle loro capacità. Mi pare notevole.
Conclusione: un libro eccezionale e consigliabile a tutti e che io, solo per motivi personali, non digerisco benissimo...
Nota (*1): ho perso il conto delle volte che ho letto il ciclo di “Dune” o la serie (9 libri!) basata sulla “Terra dai Molti Colori” di Julian May...
Nota (*2): no, (stranamente?) non ne ho mai scritto su questo viario: magari, prima o poi, scriverò un “KGB le Origini: il lato oscuro”!!
Nota (*3): ad esempio nel pezzo Osea 8, 7...
mercoledì 17 agosto 2016
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