Finalmente (*1) ho terminato “l'insostenibile leggerezza dell'essere” di Milan Kundera.
Non ne ho mai parlato con mia madre ma, sono fiducioso, che questo fosse uno dei suoi libri preferiti, se non il preferito in assoluto.
Mi pare di ricordarlo sul suo comodino, come se volesse averlo sempre a portata di mano per rileggerne alcune delle pagine preferite. Mi pare anche di ricordare di averla sentita consigliare con entusiasmo questo libro alle sue amiche.
Forse i miei sono ricordi imperfetti vero è però che, nella nostra libreria, sono presenti tutti i libri successivamente pubblicati da Kundera.
Mi sovviene che è strano che i libri sui quali abbiamo costruito noi stessi ci sopravvivano... Sono vago e dovrei elaborare su questo concetto per riuscire a farmi capire ma non ne ho voglia. Oggi voglio limitarmi a parlare di questo libro.
Il titolo era allettante e, ammetto di aver letto questo libro, con curiosità ma anche soggezione.
Il libro è scritto molto bene ed è ricco di spunti interessanti (io stesso l'ho già citato un paio di volte in questo mio blog) eppure non mi è piaciuto...
Non è facile spiegare cosa non mi sia piaciuto perché io stesso non ne sono sicuro.
I personaggi, quattro più o meno principali, non mi sono piaciuti: non perché poco credibili ma perché, al contrario, era la loro verosimiglianza a restarmi indigesta.
La trama non mi è piaciuta: si parla delle vite di queste persone senza che queste abbiano particolari obiettivi da raggiungere o nemici da sconfiggere. Sono persone ordinarie nella loro unicità: forse per questo bisognerebbe incuriosirci al loro destino ma a me la loro sorte è rimasta indifferente.
La struttura del libro non mi è piaciuta. Il libro è diviso in varie parti, dedicate ciascuna a uno dei protagonisti, nelle quali lo stesso episodio è visto da una diversa prospettiva; a volte l'ordine cronologico degli eventi non è rispettato e capita di rileggere avvenimenti già descritti in uno dei capitoli precedenti.
Il tutto all'ombra dell'invasione russa della Cecoslovacchia, alla fine degli anni '60, e della successiva occupazione.
Probabilmente però, il motivo principale per cui questo libro non mi è piaciuto, sono proprio i personaggi. Provo a fare un po' di autoanalisi sulle origini della mia antipatia verso i protagonisti.
Uno di questi è Thomas, un rispettato chirurgo, amante e amato dalle donne. Un giorno, per caso, si innamora di una ragazza, Tereza. Si mettono insieme: egli, nonostante sia innamorato di lei, continua a tradirla con le sue amanti. Quando la Cecoslovacchia viene invasa i due fuggono in Svizzera dove sembrano ambientarsi bene. Tereza però è insoddisfatta e, senza discuterne con Thomas, ritorna in patria. Thomas, che aveva un ottimo lavoro come chirurgo, decide comunque di seguirla conscio che non potrà fuggire una seconda volta dal proprio paese. Poi, per motivi politici (Thomas non è comunista), egli deve rinunciare al suo lavoro di chirurgo, prima diventando lavavetri e, infine, contadino.
Nonostante questo è comunque felice e, fino a quando non va a vivere in campagna, continua a tradire Tereza.
Non so: forse mal digerisco il fatto che ami una donna ma la tradisca serialmente con tutte quelle che gli capitano. Lo trovo incoerente, forse immaturo.
Eppure è un bel personaggio: fa consapevolmente una scelta importante rinunciando agli agi della Svizzera per seguire la donna che ama; successivamente, pur senza comportarsi da eroe, non accetta compromessi col regime comunista anche al costo di rinunciare al suo lavoro di chirurgo...
Tereza poi è gelosissima e, solo per impulso, ha lasciato la Svizzera, senza dir niente a Thomas, per tornare a Praga. È gelosa eppure non affronta mai Thomas per chiedergli di rinunciare alle sue amanti perché ha paura di “perderlo”.
Anche lei non mi piace. Si comporta in maniera irrazionale col risultato di danneggiare se stessa e Thomas. Poi il suo non affrontare l'argomento “tradimento” con Thomas la fa soffrire e inacidire per buona parte del libro.
Poi c'è Sabine, una delle amanti di Thomas e suo alter ego. Anch'ella si rifugia in Svizzera ma, a differenza di Thomas, non tornerà mai in patria. Nonostante il successo (è una pittrice) continuerà a vagare per il mondo senza una casa o una famiglia.
Anche questa non mi piace: non sa quello che vuole e infatti non lo trova. Rinuncia all'amore sincero di un uomo, Franz, quando questi lascia la moglie per lei. Non mi è chiaro il perché: penso che Franz non risponda più al modello di uomo ideale che a lei piaceva senza rendersi conto che un modello è soltanto quello. Sabine è più intelligente di Franz e si rende conto che esistono tutta una serie di incomprensioni fra di loro. Anche ella però non affronta questi problemi: non cerca di spiegarsi con Franz e preferisce scappare via...
Non voglio annoiare parlando anche di Franz se non per dire che è totalmente innamorato di Sabine e continuerà ad amarla anche quando ella lo avrà abbandonato.
Comunque anche lui non mi piace!
Temo che mi sia sfuggito il significato più profondo del libro: forse dovrei rileggerlo ma non credo che ne avrò mai il tempo.
Mi sembra che ci siano tanti messaggi disponibile e ogni lettore può pescare quello che preferisce: si può amare e tradire l'oggetto del proprio amore senza amarlo meno; si può amare e avvelenare il proprio amore con la gelosia per tutta la vita senza rendersi conto che non c'era motivo per farlo, e tante altre cose...
E poi ci sono molti spunti di riflessione: ad esempio io non sapevo niente del figlio di Stalin e della sua sorte...
Molto interessante e attuale una riflessione sul mito di Edipo. L'autore fa notare come, davanti a un'accusa, la difesa di alcune persone sia quella di dire: “io non sapevo come stavano i fatti e ho agito in buona fede” (in particolare si riferisce a quei giudici che avevano condannato degli imputati basandosi su prove artefatte costruite dalla polizia comunista...). Poi ricorda il mito di Edipo: Edipo “in perfetta buona fede” aveva sposato sua madre solo che, a differenza dei giudici, una volta scoperta la verità si sente comunque colpevole e, cavatosi gli occhi, si esilia da Tebe.
L'autore non si sbilancia dicendo quale comportamento sia giusto o sbagliato ma accosta solamente fra loro questi due esempi.
Solo una frase fra quelle che mi ero annotato: “L'amore non si manifesta col desiderio di fare l'amore ma col desiderio di dormire insieme” (*2)
Nota (*1): Da quando l'ho iniziato ho letto almeno una ventina di altri libri...
Nota (*2): Tratto da “L'insostenibile leggerezza dell'essere” di Milan Kundera, Adelphi, 1985
Il ritorno del gladiatore
8 ore fa
Nessun commento:
Posta un commento