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giovedì 14 febbraio 2019

La lode

Ogni anno, zitto zitto quatto quatto, arriva San Valentino: a me piacerebbe aver qualche bell’aneddoto sentimentale da condividere ma non è così…

Per questo oggi volevo scrivere un pezzo per ricordare invece un episodio di amicizia, legato a un vecchio amore, che mi è molto caro: ovvero il complimento più bello che io abbia mai ricevuto!

All’epoca, ormai oltre vent’anni fa (sigh!), ero profondamente innamorato di una ragazza che, ovviamente, mi considerava come una cacca di piccione sul parabrezza dell’auto: qualcosa che si preferirebbe non vedere e che si sopporta a malapena solo se non è nel mezzo del campo visivo, in caso contrario si cerca di eliminarlo il più rapidamente possibile spruzzando il liquido detergente e azionando i tergicristalli…

Io però ero molto romantico e pertinace: mi pareva impossibile che, parafrasando Dante, amore non richiamasse amore. Pensavo che le pellicole romantiche, dove alla fine l’amore trionfa sempre, avessero un fondo di verità. Non so, forse c’era anche un bel po’ di presunzione da parte mia: mi sembrava semplicemente impossibile che il mio amore non venisse corrisposto.
Immaginatevi poi che ogni mio pensiero, dal mattino alla sera, non era mai troppo lontano da lei: meditavo quindi continuamente su ogni sua parola, su ogni suo gesto, su ogni suo sguardo e riuscivo a ricombinare tutto insieme tirando fuori delle teorie strampalate che di volta in volta, per motivi diversi, riuscivano a darmi speranza.

Ah! non immaginatevi che io fossi una specie di stalker ante litteram: quando mi disse di non scriverle subito ubbidiente cessai, quando mi disse di non telefonarle smisi di farlo; del resto non l’ho mai seguita anche se contavo sulla serendipità per incrociarla al mattino. Di positivo c’è che non mi disse mai (fortunatamente) di non farmi vedere altrimenti sarei scomparso!

I “danni collaterali” di questa mia infausta passione li subirono però due persone: una mia cugina e l’amico di cui poi (con calma!) racconterò l’aneddoto che lo vede protagonista.
A fine giornata infatti scrivevo a entrambi dei lunghi resoconti descrivendo dettagliatamente tutto quanto era successo, le mie speranze, le mie ipotesi e le mie speculazioni più favolose: e c’è da dire che queste mie teorie elaborate col massimo impegno dalla mia intelligenza, intuizione e memoria erano piuttosto coerenti. Non avevo nessun problema a controbattere a ogni obiezione sulla loro consistenza che mi veniva mossa. Erano teorie improbabile ma non impossibili che però la mia ingenua speranza trasformava in possibilità realistiche.

La cugina mi dava dei consigli di buon senso che, probabilmente, sarebbero stati proficui per una persona non totalmente imbranata, magari capace di darsi un aspetto almeno nella norma, e dotato di un fisico/faccia decente.
L’amico invece era il mio contrario: dove io ero romantico e impulsivo lui era calcolatore e prudente. Ovviamente non gli davo mai retta ma, col senno di poi, tutti i suoi consigli e pareri erano assolutamente azzeccati.
In effetti mi chiedo perché perdessi tempo a scrivergli le mie vicissitudine (e a fargliene perdere altrettanto nelle loro risposte) se poi comunque facevo di testa mia: non so, forse sconfiggere il loro scetticismo contribuiva a darmi speranza, a rendere reale il nulla.

Comunque, all’epoca dell’aneddoto, ero in una fase dove avevo deciso che, se non le piacevo così com’ero, allora doveva impegnarmi per cambiare. Avevo deciso che la strada migliore da percorrere era cercare di impressionarla positivamente con una qualche attività fuori dall’ordinario. Ora non ricordo alle varie opzioni che pensai ma sicuramente, tanto per darne un esempio, fra queste c’era quella di seguire un corso di paracadutismo…

Mi ritrovai quindi con l’amico a passeggiare (io converso meglio camminando) spiegandogli le mie ultime idee e per decidere poi quale fosse la migliore strada da seguire. Le cose dovettero andare per le lunghe, del resto quando parlavo di lei perdevo il senso del tempo, e mi ricordo che finimmo poi in un localino, da tutt’altra parte della città: l’amico mi aveva ascoltato con (infinita) pazienza, aspettando che sfogassi almeno parzialmente il mio entusiasmo romantico ma poi mi guardò negli occhi e mi disse serio: «Tu sei già una bella persona: sei profondo, ricco di idee e fantasia, intelligente e sensibile. Non devi assolutamente cercare di cambiare per essere migliore.»

Non so perché gli credetti: fra uomini raramente ci si fanno dei complimenti e lui, estremamente razionale (molto simile a mio padre), non era certamente il tipo che li facesse a cuor leggero. Eppure gli credetti e rimasi senza parole: non credo neppure di aver avuto il buon gusto di ringraziarlo.
Non credo, anzi sono certo di non aver mai ricevuto un complimento che mi abbia dato maggior piacere: perché poi conta anche chi ti dice cosa e, in questo caso, la mia stima nei suoi confronti era (ed è!) altissima. Non aveva motivo di lusingarmi e di solito, infatti, era più propenso alle critiche: per questo la sua lode aveva maggior valore. Al contrario, ad esempio, gli innumerevoli complimenti di mia mamma mi entravano da un orecchio e uscivano dall’altro…

Conclusione: vabbè, spero di non aver annoiato troppo l’incauto lettore ma per me è veramente un bel ricordo del quale vado stranamente fiero, come se fosse una medaglia, una delle poche che abbia mai ricevuto.

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