Frammento di sogno mattiniero:
Sto uscendo da una metropolitana, sono me stesso: dall'esterno sentiamo suono di confusione e rivolta. Un signore anziano vorrebbe andare a vedere cosa succede ma è troppo malconcio per potersi muovere rapidamente, così vado io. Non vedo niente di particolare: solo piccoli gruppetti di persone che fuggono qua e là, poi sento degli spari “Rattarattarat...”
Qualcuno spiega che la “R” del suono indica una mitragliatrice. Nel sogno mi dilungo a cercare di stimare la frequenza al secondo della “R” per avere un'idea del numero di colpi sparati...
A questo punto non sono più io ma un ragazzo sui vent'anni. Sono nel bel mezzo di una rivolta popolare vera e propria. Sono insieme a un gruppetto di altri 5-6 ragazzi fra cui il capo di questa sommossa: un ragazzo forse sui 25, dall'aspetto di un topo di biblioteca ma molto alto e piuttosto carismatico. Si fa vedere bene da tutti nella piazza mentre consulta una piantina: gli altri ragazzi, me compreso, stiamo intorno a lui come fossimo una scorta. Lui è fiducioso di non correre alcun pericolo mentre gli altri ragazzi sono molto più titubanti.
Spiega che non possono usare le mitragliatrici contro di noi perché alla prossima occasione, ad esempio in uno stadio, la forza dei muscoli della massa sarebbe preponderante e nulla potrebbe opporsi a una rappresaglia.
A me pare una scommessa troppo incerta alla quale affidare la propria vita e quando rimaniamo soli glielo dico: lui ride scuotendo la testa. Allora ho un'idea e voglio che mi stia a sentire: si distrae a guardare una ragazza e io (intuisco che ha molto successo con le donne) gli prendo la testa con entrambe le mani affinché mi guardi in faccia. Gli dico che mi va anche bene di sacrificare la vita ma che dobbiamo prendere delle precauzioni: a turno ciascuno di noi ragazzi (quelli della scorta) deve stare lontano dalla mischia e scrivere quello che facciamo affinché ne resti traccia se le cose dovessero andare male. Lui ride, si volta e si allontana chiaramente non convinto, io però l'inseguo perché voglio sapere qual è la sua obiezione: lui mi risponde che ai grandi del passato questi “espedienti” non sono mai stati necessari e, anche di coloro che hanno fallito, si conosce comunque il messaggio che anzi, dopo la loro morte, ispira ancor di più.
Io ci rifletto un attimo e poi ribatto: non bisogna confondere la causa con l'effetto; ci è rimasta memoria di questi personaggi famosi non perché avessero qualcosa di particolarmente significativo da dire ma sono anzi stati gli scritti che gli sono sopravvissuti a renderli famosi! Non sappiamo quante persone dagli ideali altissimi sono morti vanamente venendo dimenticati dalla storia...
Non so se la mia argomentazione abbia avuto successo nel convincere il giovane perché poi mi sono svegliato...
Ah, durante il sogno più volte riecheggiava un nome al quale però adesso non so dare una collocazione: “Rita”...
Conclusione: anche quando cerco di essere telegrafico, limitandomi ai dettagli, mi vengono sempre dei pezzi più lunghi di quanto immagino...
L'esempio di Benjamin Franklin
43 minuti fa
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