[E] Per la comprensione completa di questo pezzo è utile la lettura della mia Epitome (V. 0.1.1). In particolare i capitoli: 3, 5, 10 e 13.
Da tempo, come scritto in Promettente (1/2) e Promettente (2/2), sto leggendo L'uomo romano (a cura di Andrea Giardina, Ed. Economica Leterza, 1993) che, in pratica, è una raccolta di brevi monografie su varie tipologie di ruoli nella società romana.
In questi mesi ho letto molto poco, andando in ordine:
Il cittadino, il politico di Claude Nicolet: molto interessante. Il succo che anche nella repubblica romana i singoli cittadini liberi non avevano quasi nessun potere e le decisioni importanti erano prese dai parapoteri dell'epoca: ovviamente questa verità era nascosta da tutta una serie di protomiti necessari per mantenere la pace sociale.
Comunque una monografia molto interessante: magari ci ritornerò più nel dettaglio...
Il sacerdote di John Scheid: premetto che le tesi dell'autore non mi hanno convinto del tutto ma il succo è che gli antichi sacerdoti romani erano più simili a dei magistrati che, ad esempio, ai preti cristiani. E viceversa anche i magistrati avevano delle funzioni sacrali. Però l'analisi è basata solo sull'antica Roma, chiaramente l'eccezione del mondo romano, e mi sarebbe interessato di più conoscere la situazione di un comune tempio di “provincia”...
Il giurista di Aldo Schiavone: l'argomento non mi interessava molto ma non sono riuscito a leggerlo a causa dello stile dell'autore (*1)...
Il soldato di Jean-Michel Carrié: la monografia su cui baserò il pezzo odierno. Vedi poi...
Lo schiavo di Yvon Thébert: altro saggio molto interessante che ho quasi terminato di leggere. Sicuramente ci tornerò a tempo debito.
Gli spunti del saggio sul soldato romano sono molti. Così, senza nemmeno riguardare i miei appunti, mi vengono in mente i seguenti: un nesso con la caduta dell'impero; una possibile conferma della mia teoria sulle leggi del potere ([E] 5); il passaggio critico che, dopo la seconda guerra punica, porta all'imperialismo romano ([E] 13.1)...
Partendo dalla mia teoria sui gruppi sociali ([E] 3.2) e passando attraverso la legge della rappresentatività ([E] 5.6) sono giunto alla conclusione dell'importanza di un esercito di leva ([E] 10.5, nota 197), ovvero di un esercito al quale partecipino tutti i cittadini.
Il motivo è che se l'esercito non si identifica con la popolazione che dovrebbe rappresentare ne proteggerà gli interessi solo fino a quando i soldati credono nei protomiti relativi al proprio ruolo e nella misura e modalità stabilita da essi.
Intuitivamente Augusto con la sua riorganizzazione dell'esercito imperiale ne era conscio: la base delle legioni era sempre formata da soldati italici ma, soprattutto, si cercava di evitare che i soldati si legassero troppo col territorio dove erano stazionati, in genere sui confini, ad esempio proibendo i matrimoni, vietando l'acquisto di immobili in tale provincia, trasferendo i soldati a ogni promozione e incentivando il ritorno del veterano congedato nei suoi luoghi di origine. Si voleva poi evitare che quello del soldato divenisse un mestiere di famiglia, che corrispondesse cioè a una precisa classe sociale a sé stante.
Nel corso degli anni (uno o due secoli?) questa situazione si mantenne nelle regioni orientali dell'impero, dove sovente i militari congedati tornavano nelle proprie zone di origine, ma in occidente si formarono invece delle cittadine nei dintorni delle basi militari, nelle quali si ritiravano poi i veterani magari sposando la propria compagna e legittimando i figli avuti nel corso degli anni. Fin qui il saggio.
Ma quale sono le implicazioni alla luce di quanto spiegato nella mia epitome?
Innanzi tutto il soldato occidentale, provenendo da un gruppo sociale ben definito tenderà istintivamente a identificarsi con esso e, solo grazie ai protomiti del proprio ruolo (il valore del proprio dovere, la lealtà all'imperatore e ai propri generali, etc) si identificherà come difensore dell'intero impero.
Questo ci porta direttamente alla caduta dell'impero romano: cosa succederà a questi soldati se le regioni (che come detto sono proprio quelle di confine) da cui provengono e delle quali vogliono istintivamente tutelarne gli interessi (perché vi vivono famigliari e amici) venissero (o rischiassero) di essere travolte dai barbari?
Sicuramente i protomiti su cui si basa l'ubbidienza, e quindi l'efficienza del soldato, sarebbero messi a dura prova.
Credo quindi che questo aspetto (ovvero i soldati occidentali provenienti da specifiche regioni di confine) sia un elemento non secondario (ma certamente non il solo!) per comprendere le ragioni della caduta dell'impero romano d'occidente (*2).
Uno dei topos della monografia è il rapporto fra il cittadino romano (dell'impero) e il soldato. I romani vedevano i soldati in maniera stereotipata e avevano di essi un'opinione fortemente negativa ma la verità è che i cittadini dell'impero (*3) raramente avevano la possibilità di confrontarsi concretamente con i legionari. Questi, come detto, erano acquartierati nelle zone di confine e quindi le interazioni con i cittadini delle regioni più interne avvenivano solo in occasioni sporadiche e traumatiche come, ad esempio, le guerre civili. Al contrario i soldati, lo si capisce dalle decorazioni delle loro tombe, si vedevano come cittadini (non soldati) e cercavano di imitarne le mode.
Curiosamente nell'analisi di questo rapporto l'autore non considera il ruolo della religione: nel tardo impero il cristianesimo era divenuto maggioritario ma nelle legioni invece predominava il mitraismo: non mi sorprenderei se questa differenza religiosa fosse la causa di forti pregiudizi da parte dei cittadini cristiani.
Spesso, quando si analizzano dei fatti, soprattutto se appartengono al passato remoto e per i quali non abbiamo troppe informazioni, è difficile stabilire quale sia la causa e quale l'effetto di fatti fra loro correlati. Un esempio è il passaggio di Roma a una politica imperialistica dopo la seconda guerra punica: da cosa dipende effettivamente?
Con la crescita territoriale e la nascita delle province i romani non potevano più permettersi un esercito di leva perché questo avrebbe impedito a soldati di lavorare le proprie terre per periodi troppo lunghi (solo i cittadini più ricchi erano soldati e il loro ruolo nell'esercito era definito dal loro censo visto che dovevano pagarsi l'equipaggiamento). Ma una volta che si ha un esercito di professionisti, che comunque vanno pagati, allora tanto vale usarlo. Quando poi sparisce l'identificazione fra esercito e cittadini la legione diventa uno strumento nelle mani dei parapoteri del tempo (l'aristocrazia senatoria) che quindi lo useranno per il proprio interesse (*4).
In definitiva mi sono convinto che la causa prima dell'imperialismo romano sia l'esercito di professionisti al quale corrisponde la diminuzione del potere dei comuni cittadini liberi (non essendo più il fulcro dell'esercito la forza del loro gruppo diminuisce) e il contemporaneo aumento del potere dell'aristocrazia senatoria che, direi inevitabilmente, si risolverà nella nascita dell'impero. In pratica la separazione del potere militare da tutti i cittadini a un loro sottogruppo, i soldati professionisti, mette in mano a pochi un potere che prima non era altrettanto facilmente controllabile. Questa è una lezione universale che andrebbe sempre tenuta presente...
Conclusione: una bella monografia che mette in luce una prospettiva fin troppo trascurata della storia romana che invece è fondamentale per la sua comprensione.
Nota (*1): Credo fosse una tendenza degli studiosi italiani negli anni '90 (ricordo che i testi universitari di autori italiani li trovavo quasi tutti incomprensibili mentre quelli di autori stranieri, in confronto, chiarissimi) quella di ricorrere a uno stile tutto basato sulla correttezza della forma e che rifugge qualsiasi esempio che si abbassi a spiegare i concetti espressi: alla fine ci si trova di fronte a frasi che diventano ambigue perché si basano sull'interpretazione di singole parole. Quasi un nascondersi degli autori dietro a vaghi paroloni per la paura di essere corretti per eventuali (e talvolta inevitabili) imprecisioni negli esempi: un rimanere nel vago di una definizione interpretabile in più modi in maniera da non doversi sbilanciare. Uno sfoggio di parole astratte che è l'esatto opposto di come io intendo la comunicazione delle idee. Per quanto ne sono capace, in questo viario cerco sempre di esprimermi in maniera chiara, semplice e comprensibile: gli autori italiani degli anni '90 invece non sembrano rivolgersi a un pubblico di persone normali ma solo ad altri professori in grado di cogliere le loro sottili sfumature lessicali e i loro sottintesi.
Nota (*2): la caduta dell'impero romano è la causa prima del mio interesse per la storia: nel 2010 ho iniziato un pezzo per riassumerne i motivi (perfino fra gli storici non c'è identità di vedute) ma ancora non l'ho terminato. Questo per dire che comunque è un argomento che conosco abbastanza bene e che mi sta a cuore.
Nota (*3): situazione anomala invece quella degli abitanti di Roma visto che dividevano la città con i pretoriani, la guardia personale dell'imperatore e le coorti urbane...
Nota (*4): era anche nell'interesse dei soldati combattere, nonostante gli ovvi rischi, a causa dei potenziali guadagni.
L'esempio di Benjamin Franklin
34 minuti fa
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