Era un piacevole pomeriggio d'inizio settembre e Strabuccino se ne stava seduto meditabondo su una sdraio ai piedi del suo albero casa.
Guardava assorto i funghi cresciuti fra le foglie del suo giardino e, portandosi una mano al petto, ripensava ai tristi eventi dell'estate. Ancora una volta infatti era stato ucciso e adesso era convalescente.
Con un sospiro ricordò lo sguardo della sua amata mentre lei gli infilava una mano nel petto e gli strappava il cuore. Con un brivido ricordò di come lei lo avesse dilacerato con i denti solo per poi vomitarlo ai suoi piedi con un sorriso di soddisfatto trionfo. Trattenendo il respiro ricordò di come infine lei sputò sui poveri resti del suo cuore e poi, accovacciatasi sopra di essi, vi defecò. Mentre una lacrima scendeva sulla sua guancia ricordò di come lei fosse infine risalita sulla sua scopa e volata via nel cuore della notte ridendo a squarciagola.
«Che donna! Che classe! E che caratterino il suo! Stupido io a credere che un angelo buono e bello come lei potesse, non dico amare, ma anche solo essere interessato a me...» - pensò con ammirazione mista a tristezza Strabuccino.
Proprio mentre Strabuccino sospirava, assorto in questi ricordi dolci amari, una macchia bianca entrò saltellando nel campo visivo dei suoi occhi velati di lacrime.
Per un attimo stette immobile davanti a lui come in attesa poi, visto che Strabuccino non sembrava vederlo, con voce profonda e stentorea gli disse: «E ora Strabuccino vuoi ascoltarmi? Hai bisogno di aiuto? Non tutto è oscuro. Abbi fede, Strabuccino, perché non troverai aiuto migliore. Non ho consigli da dare ai disperati; eppure a te potrei dare consigli e parole di speranza. Vuoi udirle? Troppo a lungo sei rimasto seduto nel tuo giardino, fidando in ricordi contorti e visioni menzognere...»
A queste parole Strabuccino si riscosse e i suoi occhi acuti e penetranti andarono a fissarsi sulla figura davanti a sé: un coniglietto dal manto più candido della neve lo guardava con occhi severi mentre il suo musino si arricciava in continuazione annusando l'odore dell'uomo. La creatura indossava un mantellino blu scuro fissato al collo da un fermaglio di smalto rosso a forma di cuore; sulla testolina portava invece uno strano cappello a punta nel quale erano evidentemente nascoste le lunghe orecchie...
«E tu chi sei per parlarmi con tale durezza strappandomi dalla mia dolce melanconia?» - chiese Strabuccino accigliandosi - «Non sai cosa ho patito? Mi hanno strappato il cuore dal petto e sono morto. Il nuovo cuore che mi sta ricrescendo dentro è ancora piccolo e fragile: troppo delicato per affrontare la crudeltà del mondo...»
«Ebbene, visto che lo chiedi, il mio nome adesso è Gandalf il Bianco ma fino a poco tempo fa ero chiamato...» - rispose il coniglietto.
«Conosco la storia: Gandalf il Grigio suppongo, vero?» - l'interruppe Strabuccino.
«No. Ero chiamato Musetto Rosa... Ma, come ho detto, reco parole di speranza e felicità per te! Non vuoi ascoltarmi?»
«Che felicità ci può mai essere ora che la mia amata mi ha lasciato? Eppure visto che comunque soffro, parla liberamente se ciò ti sgraverà dal basto che pare opprimerti...»
«Ebbene Strabuccino gioisci! La ragazza più bella del paese ti aspetta! Leggiadre sono le sue membra, rotonde le sue forme, profuma di giacinto la sua pelle liscia, rosso ciliegia sono le sue calde labbra, i suoi occhi corruschi sono zaffiri mentre i lunghi capelli cuprei, raccolti in una treccia morbida, ne incorniciano il volto vivace! Pescasoda è il suo dolce nome e confida in te per darti il suo dono più prezioso!»
«Come? Mi aspetta? E che dono?» - chiese stupito ma sinceramente interessato Strabuccino.
«Sì: Pescasoda aspetta un eroe che la liberi! Ella è infatti tenuta prigioniera in cima alla torre Lamentosa e, a colui che la salverà, donerà il suo fazzoletto!»
«Il suo fazzoletto? Che significa?»
«Come sei ingenuo Strabuccino! Forse non sai che ogni ragazza custodisce fin dalla nascita un fazzoletto fatto del satin più leggero e fragile: è il simbolo della sua virtù e fortunatissimo può dirsi l'uomo che lo riceve in dono!»
«Ah! Credo di capire!» - disse Strabuccino che, senza rendersene conto, si era alzato in piedi e fremeva dal desiderio di salvare la povera fanciulla. Ma poi la stanchezza e la sfiducia tornarono ad assalirlo facendolo ricadere sulla sdraio.
«Ahimè Gandalf! Purtroppo questi sono per me tempi malvagi, e le tue parole mi giungono mentre sono ancora debole e convalescente...» - disse Strabuccino.
«Le tue dita ricorderebbero più facilmente la loro antica forza se afferrassero l'elsa di una spada» - replicò il saggio coniglietto.
Strabuccino annuì e rientrò in casa, seguito da Gandalf, per prendere la spada dei suoi avi che custodiva in un vecchio baule di quercia: lentamente allungò la mano. Le dita e il magro braccio afferrando l'elsa parvero acquistare nuovo vigore e rinnovata forza. Poi lanciò un grido potente: «Non temere Pescasoda! I giorni della tua prigionia sono prossimi alla fine: il buon Strabuccino giura di salvarti e prenderti in moglie!» - e rivolgendosi a Gandalf - «Vai innanzi coraggioso coniglietto e io ti seguirò...»
Fu così che, dopo due giorni di cammino senza sosta, arrivarono presso la torre Lamentosa dove la bella Pescasoda era tenuta prigioniera.
La torre era alta 50 braccia ed era circondata da un fossato dal quale si alzavano alte fiamme: l'unica via d'accesso era un ponte di ferro nero lambito dal fuoco. In cima alla torre proprio sopra il portone c'era una piccola terrazza. Una figura vestita di bianco stava appoggiata alla balaustra guardando il panorama: una chioma di capelli rossi riflettevano la luce del Sole ed ella rifulgeva come avvolta in un alone di fiamma. Subito Strabuccino se ne innamorò perdutamente perché aveva capito che Pescasoda era la sua anima gemella.
Lungo la strada che portava al ponte, ma a distanza di sicurezza dalle fiamme, c'era un piccolo edificio la cui insegna recava scritto “Ostello dei Concorrenti”. Sulla sua soglia uno strano ometto sembrava in attesa: vestito in giacca nera, panciotto rosso e tuba in testa era tondo come una palla, con le gambe e le braccia magre come stecchi, e controllava continuamente un orologio da taschino.
«Uff... abbiamo appena fatto in tempo Strabuccino! Ma le iscrizioni stanno per chiudersi: dobbiamo affrettarci...» - esclamò Gandalf.
«Le iscrizioni?» - chiese Strabuccino.
«Seguimi presto!» - disse il coniglietto procedendo a rapidi saltelli verso l'ostello.
«Uhm... Finalmente siete arrivati... uhmm... bene... siete in tempo... uhm... dunque... ehm... l'iscrizione è uno scudo d'argento...» - disse l'ometto appena Gandalf e Strabuccino furono a pochi passi da lui.
«Come? Che iscrizione? E lei chi sarebbe?» - chiese stupito Strabuccino.
«Oh! Oh! Oh! Chi sono? Uhm... che domanda! Io sono Epopto: ovvero uhm... l'arbitro nonché uhm... il giudice nonché... ehm... il notaio nonché il... uhmm... custode della torre Lamentosa! Non siete qui per provare a salvare la … ehm... signorina Pescasoda?» - rispose Epopto.
«Beh sì... ma non pensavo che ci fosse bisogno di iscriversi...» - rispose stupito Strabuccino
Epopto fece un passo indietro e accigliato squadrò Strabuccino dalla testa ai piedi come se avesse deciso di riconsiderare criticamente la propria opinione sul baldo eroe: «Dunque... uhmm... avevo capito male... perché... ehm... evidentemente lei crede di venire qui... uhm... fare casino... ehm... vociare... sbracarsi sull'erba... eh?! ...magari danneggiare pure la torre... eh?! Certo che bisogna iscriversi! Certo che c'è ehm... un regolamento! Non siamo mica nel... uhm... medioevo!»
«Dai Strabuccino: le regole vanno rispettate! Paga al buon Epopto lo scudo per l'iscrizione: dopo tutto l'amore non ha prezzo...» - si intromise Gandalf.
Strabuccino percepì che la sua amata lo guardava dall'alto e, commosso da tanto affetto, non esitò a metter mano al portamonete.
Appena pagato e riempito il modulo di iscrizione, Strabuccino e Gandalf furono fatti entrare nell'adiacente sala d'attesa.
Tre cavalieri, seduti agli angoli opposti della piccola stanza quadrata, parlottavano fra loro.
Il primo cavaliere indossava un'armatura ricoperta di raffinate fregi e incisioni d'oro e argento e tempestata di pietre preziose; anche l'elmo, che teneva accanto a sé, era ricoperto di scintillanti gioielli; sul suo scudo nero era raffigurato in oro e platino il suo stemma: un asino rampante, con gli occhi di rubino e i dentoni di smeraldo, che defecava monete d'oro. Sul braccio sinistro stava appollaiato un grosso falcone dorato con in testa un cappuccio di cuoio rosso ricamato in oro.
Fu proprio questo cavaliere a rivolgere per primo la parola a Strabuccino: - «E tu chi savesti? Non cvedevai mica di poteve competeve con me, vevo? Mi pave che tu sia più pezzente di quest'altvi due: non hai nemmeno un armatuva ma solo una spada avvuginita...»
«Ehm... io sono Strabuccino e il saggio coniglio al mio fianco si chiama Gandalf...» - rispose Strabuccino un po' intimidito dalla sprezzante accoglienza.
«Ah! Ah! Ma guarda com'è vestito questo qui! Invece dell'armatura indossa jeans, una maglietta verde e scarpe da ginnastica ah! Ah!» - si intromise il secondo cavaliere.
Questi era alto ed estremamente elegante: Aveva sia i baffi che i capelli biondi, lunghi ed estremamente curati. Gli occhi azzurri erano evidenziati da ciglia lunghissime, evidentemente allungate con del mascara, e la pelle del viso era più che liscia: anzi, una certa rigidità nell'espressione, faceva pensare a del botulino o a un incantesimo di stiramento. Il mantello nero era foderato di satin viola scuro: come armatura indossava uno slanciato usbergo di maglia ma abbondava anche di sete e dei velluti più rari: non c'era un solo centimetro di stoffa che non fosse abbellito con qualche trina o della passamaneria. Invece di un elmo portava un grande cappello con delle piume di pavone. Al suo fianco era seduto, in maniera estremamente composta, un levriero afghano che non aveva degnato Strabuccino e Gandalf di uno sguardo ma si era limitato a scuotere impercettibilmente la testa sbuffando.
«Lo so che non sono elegante ma a me piace lo stile casual...» - gli rispose uno Strabuccino sempre più intimidito.
«Più che stile casual mi pare stile senza tetto! Ah! Ah! Vero Bieber?» - chiese il cavaliere al suo levriero.
«Woof!» - confermò sghignazzando il cane al padrone.
«Non ti lasciare intimidire ragazzo: questi due cavalieri sono bravi a chiacchiere ma il loro valore in battaglia è tutto da dimostrare!» - disse sorridendo torvo il terzo cavaliere.
Questo aveva un'aria misteriosa e cattiva: una brutta cicatrice gli deturpava la guancia destra. Ma, nonostante le parole amichevoli, il tono gelido e controllato della sua voce aveva allarmato Strabuccino.
La sua armatura era lucida per l'uso ma in ottimo stato e, dove il secondo cavaliere aveva sete e velluti, lui indossava del resistente cuoio battuto. Attorcigliato su un braccio teneva un lungo serpente che, sebbene immobile, fissava attentamente ogni movimento di Gandalf.
Alla fine la tensione di questa accoglienza fece sbottare Strabuccino: - «Ma insomma! io vi ho detto il mio nome ma si può sapere chi siete voi?!»
«Io sono il cavalieve Vicco e questo è il mio costosissimo falcone Effexxxv» - disse il primo cavaliere.
«Io sono il cavaliere Bello e accanto a me è seduto il mio bellissimo levriero: il suo nome è Bieber.» - rispose il secondo cavaliere pettinandosi i capelli.
«E io sono il cavaliere Furbo, invece il mio freddo e sibilante amico si chiama Lettaculo...» - rispose il terzo cavaliere.
«Capisco Bello e Furbo: sono dei nomi piuttosto auto esemplificativi ma che c'entra Vicco?» - chiese Strabuccino.
«No hai capito male...» - rispose il cavaliere Furbo - «Furbo è il mio cognome: il mio nome completo è Matteo Furbo»
«E il mio è Marco Bello...» - aggiunse il cavaliere Bello che nel frattempo aveva tirato fuori uno specchietto per controllarsi l'acconciatura.
«E io sono Silvio Vicco non “Vicco” anche se ho tanti soldi e sono vicco vicco: ma voi pezzenti se non fate gli spivitosi non siete mai contenti, vevo?» - disse piuttosto seccato il cavaliere Ricco.
Ma le presentazioni furono bruscamente interrotte da Epopto che richiamò all'ordine tutti i “partecipanti” al “Terzo Concorso Salva Pescasoda International”.
Io vorrei i tre giorni di sonno!
5 ore fa
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