Come ho già spiegato da qualche mese sto leggendo la Bibbia: non in maniera lineare ma saltando di libro in libro così come mi suggerisce l'ispirazione...
Attualmente sono alle prese con il libro intitolato “Giudici” che, fortunatamente, non ha niente a che vedere con la magistratura! I giudici, da cui il libro prende il nome, erano delle figure di riferimento morale che, grazie alla loro fede in Dio, si ergevano a guide del popolo di Israele nei momenti di difficoltà...
In generale quindi i vari capitoli narrano le vicende di questo o quel giudice ma talvolta ci sono delle eccezioni (*1) e il capitolo 19 è proprio una di queste.
Spesso la morale dell'antico testamento mi ha lasciato perplesso (*2) ma questa volta il racconto evolve in maniera particolarmente inaspettata. Voglio quindi riassumerlo per i miei lettori per vedere se qualcuno sa spiegarmene il significato più profondo.
Un levita che abitava sulle montagne di Efraim aveva come concubina una donna di Betlemme.
Un bel giorno la donna decise, chissà perché, di scappare dal marito e di tornarsene alla casa paterna a Betlemme.
Dopo quattro mesi il marito, evidentemente molto innamorato, partì alla volta di Betlemme con un servo e due asini per convincerla a tornare con lui.
Arrivato a casa del suocero fu accolto con grande affetto e per tre giorni fecero baldoria. Il quarto giorno il marito voleva ripartire con la sua concubina ma il suocero, con cibi e bevande, lo convinse a rimanere un altro giorno. Il quinto giorno il suocero si comportò come il giorno precedente ma, anche se si era fatto tardi, il marito fu inflessibile e decise di partire insieme alla sua amata (e il servo e i due asini).
A sera, essendo ancora a metà strada, il servo propose di fermarsi a Gerusalemme ma il marito prudentemente, siccome la città all'epoca non era abitata dagli Israeliti, preferì andare oltre per fermarsi al paese di Gabaa della tribù di Beniamino.
Arrivarono a Gabaa che era quasi buio ma nessuno volle accoglierli per la notte: proprio quando sembrava che avrebbero dovuto passare la notte in piazza all'addiaccio, un buon vecchio, anch'egli originario delle montagne di Efraim, si offrì di ospitare il gruppetto per la notte a casa sua.
I viandanti furono accolti amichevolmente e il vecchio offri loro cena e bevande: ovviamente, tenendo all'igiene, prima di mangiare si lavarono i piedi.
Proprio quando il gruppetto stava per andarsene a letto arrivarono però dei ragazzi birboni che avevano visto gli stranieri entrare nella casa del vecchio. Evidentemente lo sfortunato marito non era solo benestante (dopotutto aveva almeno un servo e due asini) ma doveva proprio essere un bel ragazzo perché i birboni lussuriosi erano intenzionati ad abusare di lui...
Il vecchio giustamente non voleva fare brutta figura con i suoi ospiti e quindi fece loro una controproposta: «Ecco mia figlia che è vergine, io ve la condurrò fuori, abusatene e fatele quello che vi pare» (Giudici 19, 25).
Ma i facinorosi conoscevano la figlia e, se era ancora zitella un motivo c'era, per questo insistevano per avere il bel marito. A quel punto, visto che non sembravano esserci alternative, il marito fece l'unica cosa logica. Uscì fuori e consegnò ai facinorosi la sua amata concubina e poi lesto si rifugiò di nuovo in casa.
I facinorosi abusarono della concubina per tutta la notte lasciandola mezza morta e questa riuscì a malapena a trascinarsi fino alla soglia di casa del vecchio. Solo all'alba, dopo una buona notte di sonno, il povero marito si alzò e, aperta la porta, trovò la sua concubina che lì giaceva distesa.
«Le disse: “Alzati dobbiamo partire!” Ma non ebbe risposta. Allora il marito la caricò sull'asino e partì per tornare alla sua abitazione.
Come giunse a casa, si munì di un coltello, afferrò la sua concubina e la tagliò, membro per membro, in dodici pezzi;» (Giudici 19, 28-29)
Il marito aveva infatti avuto l'ottima idea di spedirne un pezzo a ciascuno dei dodici rappresentanti delle tribù d'Israele per suscitarne lo sdegno: giustamente era molto seccato per il pericolo corso dalla sua purezza nella cittadina di Gabaa e voleva così spronare gli israeliti a fare qualcosa a riguardo.
La vicenda prosegue poi nel capitolo 20 ma che conclusioni dobbiamo trarre da questo capitolo?
Riepilogo rapidamente: un marito innamorato attraversa il paese accompagnato da due asini e un servo per andare a riprendere la propria amata concubina. Il padre di lei lo accoglie con gioia e grande feste tanto che, solo a fatica, il marito può riprendere il viaggio per tornarsene a casa. Per prudenza non si ferma a Gerusalemme ma a Gabaa perché la prima non è abitata da israeliti mentre la seconda sì.
Un buon vecchio li accoglie in casa: tutto sembra andare per il meglio ma poi arrivano i facinorosi. Questi sono così attratti dal bel marito che rifiutano di abusare della figlia vergine del vecchio anche se poi però si accontentano della concubina del primo. Al mattino la trova morta sulla soglia di casa, la carica su un asino e poi la fa a pezzi per spedirla alle varie tribù come promemoria dell'empietà degli abitanti di Gabaa.
Il racconto mi ha colpito perché inizialmente sembra una storia quasi romantica: l'insistere sul buon rapporto col suocero fa pensare a un semplice fraintendimento fra i due sposi e, dopo tutto, è la stessa concubina che accetta di tornare col marito. Inoltre non è chiara l'enfasi data agli asini e al servo: “qual è il loro ruolo nella storia?” mi chiedevo.
Poi accade il fattaccio e almeno si scopre il perché degli asini...
Certo lo scopo del capitolo sembra quello di far capire come sono diventati depravati gli israeliti della città di Gabaa ma allora che senso ha tutta la prima parte col suocero che non lo voleva lasciar ripartire? E l'amatissima concubina: è solo una vittima collaterale della morale di questa storia?
Qualcuno ha un'interpretazione migliore?
Nota (*1): ad esempio la storia di Sansone e Dalila...
Nota (*2): avrei molte domande da fare a un rabbino...
Il ritorno del gladiatore
6 ore fa
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