Ho voglia di scrivere: ultimamente avevo molte idee ma adesso non ricordo cosa avevo in mente...
Erano infatti delle impressioni, delle suggestioni, niente su cui avessi ragionato annotandomi mentalmente cosa avrei potuto scrivere.
…
Ecco però che mi sono ricordato un tipico dubbio da notte insonne: forse ne ho già accennato di sfuggita in altri interventi perché mi capita spesso di arrovellarmici il cervello sopra.
Quando la notte si dilata, quando continuo a rigirarmi nel letto finendo per assumere posizioni da contorsionista, mi chiedo se sono una “brava” persona ma non riesco mai ad arrivare a una conclusione definitiva.
È tutto un sovrapporsi di pro e contro e, alla fine, non riesco a valutare più da che parte penda la bilancia. E poi, una domanda banale che però banale non è, “cosa” si deve giudicare: le proprie azioni o come si è “dentro”?
Si dirà “i fatti”, perché è luogo comune che le persone vadano giudicate dalle loro azioni. Sicuramente questo è vero quando si vuole giudicare le altre persone: non sapendo quello che pensano si è costretti a valutare basandosi sulle loro azioni e parole.
Ma quando si giudica sé stessi? In questo caso sappiamo benissimo ciò che pensiamo e allora perché non considerarlo? Oltretutto le proprie azioni sono dettate anche dalle circostanze: se le circostanze, i tempi o i luoghi non danno l'opportunità di mettere alla prova le nostre virtù significa forse che non le si possiedono?
Devo quindi giudicare solo quello che ho fatto o anche quello che avrei potuto fare? Perché, se quello che non ho fatto (o non sono riuscito a fare) non è dipeso da me, allora avrebbe anche potuto essere in altre circostanze. Quindi perché dare più importanza ai “fatti” se questi sono distorti dalla sorte che, solo nella fantasia degli statistici, è imparziale? E, per la cronaca, io sono sfortunato...
Si tratta di pensieri notturni che ora non rammento nella loro intricata complessità però, mi pare, ricordo che inizialmente arrivo a giudicarmi positivamente ma poi confronto la mia idea di me stesso con quella degli altri che, mi pare evidente, non è altrettanto entusiastica...
E allora mi chiedo chi abbia ragione: tanti che mi conoscono superficialmente o io che mi conosco intimamente ma che, proprio per questo, potrei non essere obiettivo?
E, indipendentemente dalla superficialità del giudizio, si è quel che siamo oppure siamo come gli altri ci vedono? Cioè se tutti mi attribuiscono un giudizio X e poi si comportano come se io fossi X allora, anche se sono Y, non è come se fossi effettivamente X?
In altre parole: la realtà è una, ciò che è effettivamente stato, oppure è data dalla somma delle sue potenzialità?
Perché io non mi accontento di giudicare di meno che la realtà di me stesso...
Capisco perché non avevo perso tempo ad annotarmi nessun appunto per questo pezzo: solo domande vaghe che non riescono a rendere il peso del mio dilemma e anzi forse lo banalizzano: eppure vi assicuro che, così come rimango attorcigliato nelle coperte mentre mi rigiro senza trovare una posizione confortevole, anche la mia mente si dibatte su questo dilemma finendo per rimanervi invischiata e altrettanto insoddisfatta.
Odio rimanere senza risposte eppure, talvolta, sembra essere inevitabile...
Se tutto è antisemitismo
6 ore fa
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