In genere a libri “impegnativi” mi piace alternare letture più “leggere”: negli scorsi giorni ho quindi letto La mente di Schar di Iain M. Banks, Editrice Nord, 1989, trad. Gianluigi Zuddas (480 pagine, comprato usato per 3,50€).
Raramente nei libri di fantasia e fantascienza trovo spunti interessanti ma questa è una di quelle eccezioni.
La vicenda narrata dal romanzo è inserita nel contesto più ampio della guerra galattica fra una razza di alieni tripodi, fanatici militaristi e religiosi, contro un agglomerato di razze umanoidi, genericamente chiamate la Cultura. Oltre a queste due grandi fazioni esiste una terza civiltà, di gran lunga più antica e avanzata, che si mantiene neutrale, anzi indifferente: le due fazioni semplicemente evitano di disturbarne i confini temendone la schiacciante superiorità.
Questa terza civiltà, detta dei Dra' Azon, ha la caratteristica di proteggere, come se fossero dei monumenti, i Pianeti della Morte, ovvero dei pianeti abitati da razze che si sono autodistrutte con delle guerre planetarie. E il pianeta Schar è uno di questi.
L'autore non entra nei dettagli (*1) ma accenna una frase molto significativa, qualcosa del tipo “Tutte le razze che hanno costruito armi col potenziale di sterminarsi completamente alla fine si sono sempre estinte” (*2).
Personalmente ho trovato l'idea affascinante soprattutto perché, magari senza averla apertamente esplicitata, è sempre stata una mia convinzione: se qualcosa può andare storto prima o poi lo farà e, di conseguenza, l'unica maniera per minimizzare i rischi è quella di evitare del tutto situazioni anche solo potenzialmente pericolose.
Arrivai a questa conclusione quando avevo sui vent'anni in maniera piuttosto curiosa: ascoltando le esperienze degli incidenti automobilistici altrui notai che erano spesso basati su una lunga serie di coincidenze sfortunate: quattro o cinque fattori che, sebbene singolarmente non decisivi, insieme causavano l'incidente. Ne conclusi che, se si eliminavano da questa catena i fattori (magari anche uno solo) totalmente sotto il nostro controllo, le probabilità di avere un incidente si riducevano sensibilmente.
Questo modo di pensare, forse anche troppo pessimista, lo applico anche in altri contesti: ad esempio la mia preoccupazione per le leggi che potenzialmente potrebbero venire abusate è dovuta al fatto che do per scontato che, prima o poi, queste saranno effettivamente usate in maniera impropria. Dal mio punto di vista l'unica possibilità che un potere non degeneri è toglierli la possibilità di farlo.
Una legge che limita la libertà d'espressione a certe condizioni è il tipico esempio di pericolo che potenzialmente potrebbe degenerare in censura: l'unica strada sicura per evitare tale rischio è quella di non scrivere leggi di tal genere. Inutile dire che si va sempre nella direzione opposta a quella che auspico...
Attenzione! Da qui in poi potrebbero essere rivelati degli sciupatrama...
Tornando al libro l'ambientazione non mi ha impressionato e la trama in sé mi ha deluso: è totalmente sbilanciata. Lo scopo del protagonista dovrebbe essere quello di recuperare la famigerata mente di Schar ma, per i cinque sesti del libro, l'eroe è impegnato in avventure totalmente irrilevanti a tale scopo. In pratica più andavo avanti nella lettura e più rimanevo perplesso...
Però nelle ultime 50 pagine l'autore ha dimostrato una certa originalità che, seppure non redime l'opera, le dà comunque un certo motivo d'interesse.
Il protagonista è un tale Horza, della razza umanoide dei Mutex capaci di mutare completamente il proprio aspetto (*3), al servizio degli alieni tripodi che, descritti dal suo punto di vista, non appaiono particolarmente malvagi. A metà libro si scopre che Horza ha un suo vecchio amore proprio sul pianeta Schar mentre, più o meno contemporaneamente, la sua compagna attuale gli dice di essere incinta: semplicemente il lettore si aspetta che l'eroe si troverà ad affrontare degli intricati problemi sentimentali fra nuovi e vecchi amori. Quando però Horza arriva alla piccola base dei Mutex sul pianeta Schar, trova la sua vecchia amante uccisa nel sonno proprio da un gruppo di alieni tripodi (in teoria suoi alleati) mandati anch'essi a recuperare la famigerata “mente”.
Ci si aspetterebbe che Horza si vendichi ma invece, dopo una dura battaglia, si limita a immobilizzare il tripode catturato (ovviamente proprio quello che aveva ucciso la sua vecchia amante) con l'idea di consegnarlo ai suoi superiori affinché questi lo processino per i suoi crimini contro i civili.
Non solo: approfittando di un'occasione propizia il tripode riesce a liberarsi e uccide anche l'attuale amante incinta di Horza. Ah, dimenticavo! C'è una terza donna, la bella Balveda, una prigioniera appartenente a un corpo speciale della Cultura con cui Horza ha uno strano rapporto quasi di amore/odio. Nelle ultime pagine gli unici personaggi ancora in vita sono il tripode, Horza e Belveda che, si capisce, a sua volta subisce il fascino del protagonista. Horza decide quindi di inseguire e uccidere il tripode ma invece alla fine si uccidono a vicenda. È Balveda che recupera la mente e la consegna alla Cultura: è quindi un romanzo dove il protagonista muore e non raggiunge il proprio scopo e i “cattivi” (che non sono poi così cattivi) vincono.
Nell'epilogo si viene a sapere che Balveda nauseata dalla guerra si fa ibernare chiedendo di essere risvegliata solo quando ci saranno le prove che la guerra contro i tripodi ha causato meno vittime di quante ne avrebbe provocate arrendersi a essi: viene risvegliata qualche secolo più tardi perché tale dimostrazione è stata provata ma lei a quel punto, dopo qualche mese, opta per l'eutanasia.
In definitiva è un libro contro la guerra e l'autore ribadisce due concetti: 1. non ci sono né buoni né cattivi, ognuno ha le proprie ragioni, più o meno buone; 2. la guerra provoca vittime innocenti e, spesso, totalmente inutili anche ai fini della stessa.
È un libro che lascia l'amaro in bocca e che, almeno sul finale, sorprende il lettore con un finale mesto e sconsolato dove non vince nessuno e muoiono tutti.
Conclusione: difficile dargli un giudizio complessivo perché i quattro quinti del libro sono quasi totalmente superflui mentre la parte finale è certamente meritevole. Io forse lo giudicherei da 5 su 10 (quindi insufficiente) ma non mi stupirei se altri lettori con gusti diversi dai miei lo trovassero anche decisamente buono.
Nota (*1): ma leggendo wikipedia ho scoperto che Iain Banks ha scritto un intero ciclo basato sull'universo della Cultura e sono quindi sicuro che avrà approfondito gli scopi dei Dra'Azon in altri romanzi.
Nota (*2): scusate ma non mi sono appuntato dove si trova la citazione e non ho voglia di cercarla...
Nota (*3): non in un istante, come gli eroi Marvel, ma nel giro di un mese o poco più...
alla prima stazione
1 ora fa
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