“Tanto tempo fa” scrissi che probabilmente i pezzi di questa serie sarebbero stati 5, forse 6, mentre oggi siamo già all'ottava puntata. A cosa si deve questo errore di giudizio? Beh, in primo luogo la mia era una stima molto approssimativa in cui pensavo di limitarmi ad analizzare solo alcuni dei tanti aspetti che mi avevano colpito di Nascita della tragedia e, comunque, non mi sono mai sentito vincolato a rispettare tale mia previsione: scrivo se mi diverto altrimenti non lo faccio...
Alle due ragioni precedenti ne posso aggiungere una terza più tecnica: ho deciso di rileggere la parte iniziale che mi era rimasta poco chiara e, mentre procedevo, prendevo appunti per il pezzo che andavo scrivendo: in questa maniera però ho filtrato poco o niente le osservazioni più interessanti da quelle che lo erano poco...
Nella precedente puntata ero giunto a spiegare come Nietzsche identifichi nella tragedia greca antica la fusione perfetta fra elemento dionisiaco e apollineo.
Successivamente (tanto per la cronaca siamo al capitolo 8) l'autore entra nel dettaglio spiegando come, da un punto di vista quasi tecnico, funzioni questa simbiosi. Entra nel dettaglio della struttura della tragedia greca e spiega, ad esempio, l'importanza del coro con il quale il pubblico si identifica giungendo così a un profondo stato di spersonalizzazione dionisiaca che accentua la ricettività, la sensibilità verso le immagini dei miti proposte dagli attori.
L'interpretazione di Nietzsche è arbitraria ma comunque sostanzialmente verosimile.
Spulciando fra le mie note a margine (capitolo 9) ho notato un “parallelismo divergente” con San Paolo (del quale sto leggendo le varie lettere) sulla visione della “sapienza”. San Paolo la snobba spiegando che non è nulla davanti alla vera conoscenza che è Dio: parafrasando San Paolo si potrebbe dire che “la sapienza terrena è delle carne mentre la conoscenza del Vangelo è dello spirito: la prima è destinata a imputridire la seconda a sublimare l'uomo al cielo”.
Anche per Nietzsche la sapienza (dionisiaca! Quella apollinea invece nasconde...) è negativa, in quanto dà la comprensione dell'orrore della vita, però ha anche il grande pregio di permettere la creazione di opere eccelse che danno significato all'esistenza.
Qui Nietzsche fa un accenno significativo a dei miti e compie il suo primo vero errore: «La leggenda di Prometeo è proprietà originaria di tutta la comunità dei popoli ariani... … …[il mito di Prometeo ha] la stessa caratteristica importanza che il mito del peccato originale ha per la natura semitica». Dove sta l'errore? Preferisco lasciare questa domanda in sospeso: la ritroveremo anche in futuro e allora la risposta sarà più evidente...
A pagina 77 (capitolo 10) una mia glossa molto significativa: “Semi di idee future innestate a forza su questo libro/pianta”. Come anche lo stesso autore spiegava nella prefazione in Nascita della tragedia ci sono accenni a idee che poi non vengono pienamente sviluppate. In questo specifico caso il mio commento era dovuto a una lunga divagazione sulla religione che non starò a riportare...
Nel capitolo 11 Nietzsche passa ad analizzare i motivi che portarono alla prematura degenerazione della tragedia greca. Anche in questo caso le sue argomentazioni sono abbastanza arbitrarie sebbene coerenti con la logica su cui aveva illustrato i punti di forza della tragedia antica. Euripide, al contrario di Eschilio e Sofocle, toglie infatti spazio sia al coro (necessario per il coinvolgimento dionisiaco del pubblico) che al mito. I protagonisti delle sue opere non sono più grandi eroi ma personaggi stereotipati come lo schiavo furbo, dal mito si passa alla rappresentazione della realtà: la tragedia non è più catarsi ma intrattenimento.
La domanda che mi ponevo leggendo questi passaggi era: ma se la tragedia “antica” (Sofocle ed Eschilio) era così migliore di quella “moderna” (Euripide) come mai i greci sono passati alla seconda?
Questa domanda è fondamentale e le risposte molteplici: da una parte non c'era una comprensione conscia del valore della tragedia “antica”; un altro motivo è legato alla decadenza stessa del popolo greco (anche se non è chiaro se, secondo Nietzsche, la tragedia è declinata per colpa del declino del popolo greco o se è vero il vice versa!). Ma c'è anche un'altra ragione che mi dà l'opportunità di fare una divagazione...
Pensavo di averlo citato in FNHM 1 ma non l'ho fatto... non importa, lo faccio adesso!
Nel “lontano” 2010 scrissi il pezzo Los tres tenores: da una domanda scherzosa, da una specie di gioco, mi ero sforzato di individuare i tre personaggi più significativi della storia (con l'eccezione di figure religiose). Ovviamente i criteri di scelta sono molteplici e non esiste una risposta giusta in assoluto.
Io comunque, fra i tre personaggi, misi Socrate: «Certo poi non possiamo dimenticare la filosofia greca che è una delle gambe, insieme alla religione cristiana, sulle quali il pensiero del nostro continente si è sviluppato.
Di getto direi Aristotele a causa dell'ipse dixit medioevale e non. Ripensandoci credo però che più fondamentale sia stato Socrate che, con la sua filosofia, ha dato dignità al "pensare con la propria testa" e di conseguenza ha favorito la fioritura filosofica successiva. Insomma: senza Aristotele ci sarebbe stato comunque Platone, ma senza Socrate... »
In altre parole vedevo in Socrate la pietra fondamentale sopra la quale si è basata e costruita tutta la filosofia successiva.
Anche Nietzsche la pensa in maniera analoga: anche per lui il pensiero di Socrate è fondamentale e sta alla base della cultura moderna. Solo che, per Nietzsche, la filosofia di Socrate è “negativa” nel senso che vi vede dell'ottimismo infondato, una fiducia nelle capacità dell'uomo di capire e risolvere ogni problema, che nasconde la realtà della sventura della vita. Non solo, anche l'ottimismo scientifico tipico della civiltà moderna, la fiducia nelle capacità della scienza di rendere l'uomo felice deriva, sempre per Nietzsche, da quell'originale scintilla socratica.
Ecco, proprio l'ottimismo che caratterizza il pensiero di Socrate è la ragione “filosofica” che porta al declino della tragedia: non c'è infatti più bisogno della catarsi del mito per considerare l'esistenza sopportabile; basta infatti l'ottimismo e la fiducia nell'uomo di Socrate...
Questo è in effetti un grande errore di Nietzsche. Il mio sillogismo è: se il valore della tragedia antica stava nella sua capacità di rendere sopportabile la vita e se si raggiunge lo stesso risultato con l'ottimismo socratico allora tragedia antica e ottimismo socratico hanno lo stesso valore!
Evidentemente però per Nietzsche conta non solo il fine ma anche il mezzo. Riferendosi alla tragedia “moderna” usa parole del tipo “trionfo della mediocrità”, “serenità senile data dalla mancanza di responsabilità” o “saggezza dionisiaca che degenera in furbizia”.
L'aver forzato tutta la sua filosofia nella tropologia della tragedia greca crea questi paradossi. Tutto sommato, lasciando perdere la tragedia e passando all'essenza del reale, sono però propenso a dare ragione a Nietzsche: l'illusione, la bugia, talvolta possono essere delle scorciatoie per raggiungere un risultato (*1); sono però scorciatoie che non portano a un reale progresso: per progredire, come insegna il Maestro Yuri (*2), è necessaria la comprensione della verità anche se il prezzo da pagare è il dolore.
Conclusione: siamo arrivati al capitolo 12!
Nota (*1): come può essere il fine limitato di rendere la vita tollerabile.
Nota (*2): vedi PSS...
Il ritorno del gladiatore
7 ore fa
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