Premetto che oggi mi sento abbastanza rintontito e perciò non dovrei affrontare questo argomento ma, d'altra parte, probabilmente lo affronto solo perché sono rintontito!
Scambiando epistole con un'amica siamo arrivati a una disputa etica: nella vita, deve venire prima il proprio dovere o la felicità personale?
La risposta comune a questa domanda è la felicità personale: ma qual è la risposta etica?
La mia amica pone infatti davanti alla propria felicità personale il proprio dovere e sostiene che adempiere ai propri compiti non la rende felice ma, d'altra parte, non farlo la renderebbe infelice.
E dopotutto che cos'è l'eroismo se non l'anteporre l'interesse altrui (o il proprio dovere) al proprio? Se l'eroismo fosse eticamente sbagliato perché allora è così apprezzato?
Al contrario io ritengo che l'uomo debba perseguire la propria felicità E compiere il proprio dovere: quando questi due obiettivi entrano in contrasto si deve dare la precedenza al primo di essi, ovvero alla propria felicità.
A mio avviso l'atto di eroismo è caratterizzato da un particolare contesto dove sono precipui la posta in gioco e l'occasionalità della situazione. Con “posta in gioco” intendo che il sacrificio della propria felicità deve portare un alto compenso verso altre persone; con “occasionalità” intendo che la possibilità del proprio sacrificio deve essere irripetibile.
In altre parole non credo all'eroismo quotidiano dove cioè il dovere abbia sempre la precedenza sulla propria felicità. In tal caso infatti si subordinerebbe la propria vita (felicità) al dovere (compito, lavoro, etc) e questo ci renderebbe schiavi anche se di noi stessi (*1).
La vita ha un suo valore assoluto che richiede che essa sia degna di essere vissuta: subordinarla a un servizio, per quanto importante, la svilirebbe e questo è moralmente errato.
Le obiezioni a questa mia posizione possono essere molteplici: vediamo di elencare e rispondere a qualcuna di esse.
1. Ma se tale servizio quotidiano ci dà soddisfazione allora non sarebbe giusto sacrificarsi quotidianamente per esso?
R. Certo! Se tale servizio, magari indirettamente, ci porta felicità allora non c'è reale contraddizione: se un lavoro, per quanto sgradito, ci permette di mantenere la nostra famiglia, dalla quale traiamo gioia e diletto, allora è moralmente giusto farlo (*2).
Da notare però che la mia amica è nella situazione in cui adempiere al proprio dovere non le dà felicità: è il non farlo che le porterebbe infelicità.
2. Ma ammettere che l'uomo debba ricercare prima di tutto il proprio piacere non giustificherebbe così anche i crimini?
R. Infatti la situazione è più complessa: una condizione del dover ricercare la propria felicità è quella di farlo nel rispetto, in senso lato, degli altri.
Probabilmente ci sarebbero anche altre condizioni perché io mi sono concentrato nell'esporre l'essenza della mia idea senza preoccuparmi troppo dei possibili vincoli che la potrebbero limitare.
3. Ma adempiere al proprio dovere non equivale a vivere una vita degna di essere vissuta.
R. No. Equivale solo a sprecare la propria vita per un dovere. Non sarebbe particolarmente preferibile a passare la propria vita nel tentativo di ottenere denaro, potere o perseguendo altri obiettivi illusori.
4. E quali sarebbero invece gli obiettivi “leciti” ovvero che rendano una vita degna?
R. La risposta a questa domanda esula dallo scopo del pezzo: per chi è interessato rimando ai miei pezzi marcati PSS...
5. Ma se il nostro dovere fosse quello di salvare vite, non sarebbe allora giusto anteporlo alla nostra vita?
R. Il salvare altre vite è uno dei doveri più alti ma se per farlo si deve rinunciare quotidianamente (vedi sopra per la relazione fra occasione ed eroismo) alla propria allora diviene moralmente errato. Se il chirurgo che salva vite umane dovesse rinunciare alla propria felicità (magari per eseguire un intervento in più al giorno) allora diverrebbe uno strumento: ma il chirurgo è prima di tutto un uomo non un bisturi. Ridurre la propria vita alla funzione di un semplice oggetto è moralmente errato.
Conclusione: chi ha ragione? Giudicate voi...
Nota (*1): schiavi di noi stessi perché saremmo nel caso in cui si sceglie volontariamente la propria schiavitù verso un certo servizio.
Nota (*2): magari tenendo gli occhi aperti per lavori di nostro maggior gradimento.
L'esempio di Benjamin Franklin
5 ore fa
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