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venerdì 11 marzo 2016

Tuffo nel passato...

...dentro una piscina vuota.
Per dire che non si è trattato di un'esperienza piacevole ma, piuttosto, di una sensazione di nausea e delusione...
Ieri, come si poteva intuire dai corti “Kant e la legione” e “Sitten, costumi e morale”, ho comprato la traduzione italiana del trattato di Kant di cui in linea era disponibile solo la versione in inglese. Il problema del testo in inglese (scritto nel XIX secolo) era la sua difficoltà: ogni parola è importante e spesso dovevo rileggere tutto più volte per capire il senso di una frase.

Siccome l'argomento è interessante, ma non volevo perdere troppo tempo per difficoltà di traduzione, ho comprato una versione in italiano: Fondazione della metafisica dei costumi di Immanuel Kant, Editori Laterza, 1997, trad. e introduzione di Filippo Gonnelli.

Della stranezza del titolo avevo già scritto (v. il corto Sitten, costumi e morale) ma non mi preoccupavo troppo: se un'opera è conosciuta da oltre 200 anni con un dato titolo non lo si può certo cambiare per tradurlo in maniera diversa.

Così ieri sera sul tardi ho iniziato a rileggere la parte che avevo già studiato (e compreso!) in inglese con l'idea di di arrivare rapidamente al punto dove avevo interrotto i miei sforzi...

Ebbene nel testo italiano non ci si capisce niente: invece di chiarirmi le idee me le ha confuse!
In parte credo che il motivo sia della traduzione letterale che è stata fatta: a fianco è infatti presente il testo originale in tedesco. È possibile che questo libro sia stato quindi pensato per chi vuole leggere Kant in tedesco e ha solo bisogno di verificare qualche passaggio qua e là nella traduzione italiana.

Io però, leggendo solo l'italiano, non ci capisco niente. Avete provato a leggere una traduzione di Google Translate di un brano un po' complesso? Beh, sicuramente questa traduzione è migliore ma l'originale è così difficile che essere un po' meglio non è assolutamente sufficiente...
In inglese faticavo ma comunque riuscivo a capire: qui non c'è verso. Ho la sensazione che Kant usasse parecchi sinonimi, che nella traduzione inglese sono tutti tradotti in maniera coerente, mentre in quella italiana si usano sempre traducenti diversi che però finiscono per nascondere completamente il significato originale visto che non si capisce più di cosa si stia parlando...

Oltre alla traduzione troppo letterale, che già di per sé nasconde il vero significato del testo, non mancano neppure dei termini usati impropriamente: un esempio è l'aggettivo “affetto”. Dove nella traduzione inglese si trova “affected by nature” (cioè “influenzata dalla natura”) in quella italiana abbiamo “affetta dalla natura” (pag. 3); oppure dove in inglese si ha “...acted on by so many inclinations...”, in italiano si ha “...affetto com'è da molte inclinazioni...” (pag. 7).
Sembra insomma che si usi “affetto” col significato del participio di “to affect”, ovvero “influenzare” in inglese.
Peccato che, secondo la Treccani.it, l'aggettivo affetto non abbia questo significato: sembrerebbe quasi (*1) un calco semantico dall'inglese!

La mia sensazione è che, sfortunatamente, questo non sia un caso isolato: nelle poche pagine lette molte frasi mi suonano incomprensibili e, se anche la traduzione non fosse formalmente errata, sicuramente si sarebbero potute scegliere alternative migliori e più chiare.

Ovviamente Kant è difficile da tradurre: i suoi paragrafi sono lunghissimi e pieni di incisi, per non parlare della complessità dei concetti che esprime. Però questa traduzione in italiano trasforma un testo difficile in un testo incomprensibile. Il senso delle idee di Kant si perde completamente in formule vuote e prive di significato. Anche chi, come me, ha un'idea del loro significato complessivo fatica a indovinarne il senso: figuriamoci cosa possa capirci chi si imbatte per la prima volta in questi concetti! Talvolta alcuni discorsi sembrano perfino in apparente contrasto fra loro (*2): pura forma che non ha più nessuna attinenza con il mondo reale...

Ai tempi del liceo avrei pensato che Kant, come del resto tutti i filosofi, fosse un folle che si divertiva a scrivere enunciati incomprensibili, al massimo fini a se stessi, dotati di una coerenza solo interna e quindi indifferente e inapplicabile alla descrizione della realtà: insomma qualcosa di completamente inutile...

Questo è il tuffo nel passato a cui accennavo: mi ha ricordato i formalismi dei miei libri di testo di filosofia. Frasi ammucchiate a casaccio che non si preoccupavano di spiegare davvero l'essenza del pensiero ma che si riducevano a sintesi vuote e sconnesse. Frasi che si potevano imparare a memoria ma che non servivano a niente perché non spiegavano niente...

Invece il fatto che, seppure a fatica, la traduzione in inglese di Thomas Kingsmill Abbott (un professore di filosofia morale del XIX secolo) mi sia comprensibile la dice lunga sulla qualità di quella in italiano: non è Kant scappato da un manicomio ma è la traduzione della sua opera a essere, a dir poco, fallace...

Conclusione: 9,50€ completamente buttati e, nonostante sia un libro “stampato su carta amica delle foreste”, si tratta comunque di carta completamente sprecata...
Lo rivendo a 5€: il libro è in perfetto stato se non per molti punti interrogativi e correzioni (comunque a lapis) a margine delle prime cinque pagine: è un affarone!

Nota (*1): beh, ripensandoci, almeno nel secondo esempio, "affetto" nel senso di "colpito" potrebbe anche andare bene anche se non mi pare la traduzione più chiara... O magari ha un suo significato filosofico sebbene non riportato dalla Treccani.it...
Nota (*2): Esempio: quasi l'intera pagina 5 è dedicata a spiegare come si debba separare la filosofia della morale sperimentale, detta “antropologia”, dalla filosofia della morale pura (o razionale o a priori). La conclusione della traduzione inglese è infatti “... prefix... to practical anthropology a metaphysic of morals” ovvero “...anteporre... all'antropologia pratica una metafisica della morale”; nella traduzione italiana si ha invece “...debba essere anteposta... all'antropologia pratica una metafisica dei costumi”. Potrebbe sembrare una differenza di poco conto ma non è così: “costumi” è qui usato nel senso “usi e costumi e/o tradizioni” ma questo è proprio ciò che Kant ha spiegato non si debba fare! Kant vuole infatti definire una metafisica della morale pura che non abbia niente a che vedere con gli usi e costumi e/o le tradizioni umane! Ecco quindi la contraddizione: si sceglie per definire una morale pura, astratta, che non si basa su esempi concreti, che non sia cioè sperimentale, con un termine che invece fa pensare all'opposto visto che sembra proprio basarla sui “costumi”.
Più ci penso e più mi pare incredibile...

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